L’intervista impossibile
Interview è il risultato degli sforzi, del produttore olandese Gijs van de Westelaken, di concretizzare il sogno di Theo van Gogh: realizzare dei remake americani dei suoi film. Un progetto che il regista stava portando avanti prima di essere brutalmente assassinato da un fondamentalista islamico. Tutta l’operazione è stata realizzata nel più totale rispetto filologico del suo lavoro, della sua poetica e del suo particolare stile di regia. Steve Buscemi rinuncia a farne un’opera personale, per mettersi al totale servizio dell’autore scomparso.
Il film è un incontro/scontro di due personalità decisamente eclettiche. Funziona con un impianto espressamente teatrale, incentrato sui dialoghi ininterrotti dei protagonisti. Ciononostante l’opera non soffre di eccessi di verbosità, le conversazioni sono naturali e spontanee. Sono quasi rispettate le unità aristoteliche di tempo e azione e, parzialmente anche di luogo, essendo tutta la vicenda ambientata in due soli posti, il ristorante e l’appartamento dell’attrice. Quello che colpisce è la sapiente contestualizzazione nell’ambiente urbano newyorkese, quasi che il soggetto fosse stato concepito proprio per questa realtà. La grande metropoli è uno dei protagonisti del film e Buscemi dimostra una grande sensibilità nel cogliere l’anima autentica della sua città d’origine. La situazione del film è claustrofobica, nevrotica e soprattutto non si riesce mai a capire dove la storia vada a parare, tanto risulta imprevedibile. Sembra avvicinarsi ai drammi borghesi di drammaturghi americani “arrabbiati”, come Edward Albee, l’autore di Chi ha paura di Virginia Woolf?.
Fondamentale per la riuscita dell’operazione è stata la fedeltà all’originale stile di regia di van Gogh, basato sul sistema cosiddetto delle tre camere. Il regista olandese era solito chiudere un attore e un’attrice in una stanza e lasciarli sfogare a parole. Le riprese venivano effettuate con tre telecamere digitali, una seguiva il protagonista maschile, un’altra la protagonista femminile e la terza riprendeva il totale di entrambi. Questa tecnica è stata ripresa integralmente da Buscemi, che si avvalso della stessa troupe olandese di van Gogh. In questo modo vengono catturate le espressioni più intime degli attori, le loro emozioni più profonde. Da un lato, è una tecnica funzionale al cinema indipendente, che permette di realizzare film a basso budget. Ma da un altro lato costituisce una nuova grammatica cinematografica che esalta la spontaneità dei dialoghi, anche dando spazio all’improvvisazione, e che si avvicina, ancora una volta, ad un lavoro di tipo teatrale. L’opera di Theo van Gogh non è dunque finita con la sua morte. La sua eredità è stata colta in pieno da Steve Buscemi, che realizza così un omaggio davvero sentito e sincero.
Curiosità
Il progetto Triple Theo proseguirà con i rifacimenti di 06 (1994) e Blind Date (1996), a opera di altri due registi di New York, Stanley Tucci e Bob Balaban.
A cura di Giampiero Raganelli
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