Oh mamacita, Panama dov’è?
Un film che riesce a superare al botteghino il campione d’incassi Avatar, e senza ritardarne artificiosamente l’uscita come avvenuto in Italia, suscita immediato rispetto e irrefrenabile curiosità. Nelle immagini girate dal quarantenne Benaim, nato a Panama ma cresciuto tra Israele e Stati Uniti, non è difficile cogliere la formula di questo straordinario successo: Chance è una scatenata commedia venata di grottesco e humour nero, che riprende senza vergognarsene tutti gli stereotipi del genere, a livello stilistico e narrativo. Il meccanismo, fin troppo prevedibile per uno spettatore minimamente smaliziato, è quello arcinoto dell’inversione dei ruoli tra ricchi e poveri: la vendetta delle due protagoniste Toña e Paquita, “umiliate e offese” dagli insopportabili e viziati datori di lavoro, finisce per ricordare molto da vicino il Giancarlo Giannini di Travolti da un insolito destino… o un Abatantuono d’annata, giusto per non risalire fino al modello americano con Una poltrona per due. La regia e la sceneggiatura accentuano quanto più possibile i caratteri dei personaggi con uno spirito macchiettistico che talvolta funziona, ma alla lunga trasforma il film in una carrellata di caricature: il politico buono a nulla, la padrona di casa dispotica e repressa, la giovane studentessa radical-chic, la suocera snob e danarosa, la cameriera sottomessa con figli a carico… Insomma da una parte i buonissimi poveri e dall’altra i cattivissimi ricchi, in una lotta di classe che presuppone un’identificazione fin troppo scontata da parte del pubblico.
Malgrado queste premesse il film, grazie a un ritmo scatenato e a una successione vorticosa di gag supportate dal montaggio sincopato, riesce a divertire per un’ora buona, con qualche sprazzo di genuina ferocia che costituisce il vero valore aggiunto dell’opera: non mancano, infatti, alcune scene deliziosamente crudeli, quasi cartoonesche, in cui la violenza passa attraverso gli oggetti di uso quotidiano (palle da biliardo, ferri da stiro e lampadari). Altro aspetto interessante, soprattutto per lo spettatore straniero, è l’uso del linguaggio: in un paese coloniale come Panama l’inglese finisce per costituire una vera e propria barriera sociale tra le classi più agiate e la fascia povera della popolazione. Esemplare, in questo senso, la scena in cui la famiglia Gonzales, durante una cena, parla di denaro elencando una serie di cifre in inglese per non farsi capire (ottenendo ovviamente come effetto l’esasperazione della servitù).
Tra una risata facile e l’altra, comunque, anche i poveri si beccano la loro buona dose di satira, finendo per apparire come vittime delle due “droghe” nazionali: la lotteria e la televisione. In particolare quest’ultima, che attraverso la melensa telenovela Magia de amor instilla negli spettatori illusioni impossibili e rischia di condannare al fallimento la stessa impresa delle due protagoniste: simbolismo, anche questo, abbastanza elementare, ma non per questo meno efficace.
A cura di
i dispersi ::