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cultura dell'immagine e della parola

La morte si fa bella

La morte si fa bella


Un giornalista, silenzioso e solitario, lavora ad un reportage su una misteriosa serie di morti in culla e scopre la presenza, sui luoghi delle morti, di un libro di filastrocche, aperto alla pagina di un’antica nenia africana. La nenia è in realtà un’arma micidiale, più contagiosa di un virus. Basta pronunciarne qualche parola o solo pensarci, per trasformarsi in angeli dell’apocalisse, dispensatori “inconsapevoli” di dolce morte. Inizia così il viaggio alla ricerca delle copie del mortale libro, per eliminarle e debellare l’imminente flagello: insieme a Carl c’è Helen Hoover Boyle, un’agente immobiliare che per colpa della filastrocca ha perso anni prima suo figlio, la sua assistente Mona e il fidanzato di questa, Ostrica, ecoterrorista.

La struttura e i tempi narrativi sono scanditi dalla ripetizione del verbo “dire”: è proprio questa scelta stilistica a dare all’intera narrazione una musicalità lenta e ritmata, e a far sembrare ogni pagina una nenia ipnotizzante. Proprio su il dire o il non dire, l’intera vicenda si sviluppa. L’autore concentra ogni suo sforzo per inquadrare la situazione di inquinamento acustico e informativo a cui siamo sovra-esposti. In un’epoca in cui non possiamo scegliere quello che vogliamo sapere e sentire, il grottesco contrappasso da scontare è cadere vittime, ancora una volta, delle parole. Parole che sembrano del tutto inoffensive: chi potrebbe mai dubitare di una ninna nanna? O forse è proprio questo l’errore in cui non si dovrebbe più cadere: perdere il senso e il valore vero delle parole, della forza e della vita che acquistano in un testo. La chiave di lettura della vicenda è Carl, un giornalista, che con le parole lavora e vive, ma a causa di questa continua esposizione è ormai insofferente alla comunicazione orale: chiacchiere, tv, radio, musica, tutto lo infastidisce terribilmente, e niente riesce a fargli accettare un mondo popolato da silenziofobi e rumoridipendenti.

Il linguaggio usato da Palahniuk è semplice e lineare, i periodi brevi, e le frasi partono sempre da un’elementare struttura soggetto-verbo-predicato. Tuttavia, pur nella semplicità linguistica, egli riesce a supportare bene l’intera struttura narrativa, che si snoda su due piani temporali paralleli: solo a fine lettura capiamo che si tratta di un presente-passato e di un futuro-presente. Pur risultando a tratti prolisso, Ninna Nanna guadagna punti nella conclusione: l’ultima pagina del libro vede i nostri protagonisti ancora alla ricerca delle ultime copie del libro, in quella che al lettore apparirà come una missione senza fine. L’unica cosa da cui non potremo mai realmente sentirci al sicuro sono le parole, quelle dette e quelle mai pronunciate, e liberarci dalla loro schiavitù diventa lo scopo di vita dell’uomo del XXI secolo.

Chuck Palahniuk è nato nel 1961 e vive a Portland (Oregon). I suoi romanzi precedenti sono stati Survivor, Invisibile Monsters, Soffocare e Fight Club da cui è stato tratto l’omonimo film per la regia di David Fincher.

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