La saga del Lupo del Miele
Tutti hanno sentito parlare di Thor, molti di Sigfrido, ma pochi conoscono qualcosa di un eroe chiamato Beowulf; eppure, la storia di questo personaggio ha avuto un’influenza enorme sullo sviluppo di gran parte della narrazione anglosassone dal IX secolo in poi.
Emersa dalle gelide nebbie del Nord, la leggenda di Beowulf è stata tramandata con innumerevoli variazioni attraverso i secoli; anche al cinema, questa storia è stata rivisitata da Graham Baker nel 1999 in Beowulf, e da Sturla Gunnarsson nel 2005 inBeowulf & Grendel. Robert Zemeckis fa però un passo in avanti, decidendo di adottare un linguaggio a metà tra l’animazione e la semplice ripresa per narrare le vicende in maniera epica e dettagliata.
La sensazione che Zemeckis riesce a trasmettere è infatti proprio quella di essere immersi nell’ascolto della saga nordica, dando al tempo narrativo un ritmo orale, cadenzato, quasi sospeso e a tratti improvvisamente accelerato, seguendo i meccanismi tipici della narrazione epica; i personaggi sono definiti con pochi, semplici tratti caratteristici, e abbonda l’uso delle kenningar, ovvero i riferimenti a personaggi, luoghi o eventi attraverso perifrasi e metafore tipiche dell’antica letteratura nordeuropea.
La contaminazione con la letteratura e la tradizione orale emerge poi dallo stesso personaggio di Beowulf, capace di imprese incredibili ma anche eccessivo nel raccontarle, sovrabbondante in tutto il suo modo di essere e di esprimersi.
Per questo, la scelta di fissare i personaggi in una dimensione sospesa tra la realtà e la finzione contribuisce a rendere più veri gli elementi del fantastico, tenendoli però a una distanza sufficiente da farceli percepire pur sempre come racconti epici. Assunte queste premesse, il coinvolgimento dello spettatore nella narrazione è totale, nonostante le già citate semplicità d’intreccio e la prevalente lentezza di ritmo. Il film è perciò un interessante lavoro destinato a un pubblico adulto e preparato a un’avventura che non sia solo fatta di violenza e azione, ma che possa essere letta a più livelli.
Detto questo, computergrafica o no, la visione di Angelina Jolie che esce dalla palude completamente nuda rimane un momento decisamente sbalorditivo anche per il sopraccitato (o sovraeccitato) pubblico adulto.
A cura di Enrico Bocedi
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