Fratelli di Taglia
Nella serata uggiosa di Milano alle prese con le avvisaglie delle piogge novembrine, mi preparo ad assistere alla proiezione di 2061, ennesima fatica dei fratelli Vanzina; non se ne è parlato molto, non ci sono state le innumerevoli ospitate a Porta a porta o a Buona Domenica tipiche del lancio di questi film, e perciò sono ottimista.
Già dalle prime scene si intuisce che non sarà la solita vanzinata ideata solo per far ridere, ma si avverte la presenza di un’ironia dell’assurdo, sicuramente più pensata rispetto alla semplice battuta da osteria (che, per tranquillizzare tutti, comunque non manca). Abatantuono in versione terruncello è sempre magistrale, anche se qualche volta scivola nell’italiano e ricorda più Nicola Lorusso che non Donato Cavallo o Tirzan.
L’idea alla base del film è originale e prende spunto da molti temi di attualità: un’Italia disunita, prigioniera di odi e rivalità locali, dove eterni vizi e virtù si ripetono immutati nonostante il passare dei secoli. Enrico Vanzina si conferma un buon sceneggiatore, in grado di cogliere le istanze del contemporaneo con anticipo rispetto agli altri: una su tutte, la scelta di mostrare il ponte sullo Stretto di Messina crollato, che il caso ha voluto sottolineare con l’anteprima del film proprio nel giorno in cui il Governo Italiano è scivolato su questo argomento scottante.
A parte qualche intoppo in cui il ritmo sembra calare, 2061 scorre piacevolmente grazie al contributo di un cast eterogeneo, con tanto di ciliegina eccentrica in Jonathan Kashanian, regalando continui omaggi al Made in Italy in senso lato: dai problemi sulla Salerno – Reggio Calabria al vestito bianco del calabrese Barone Cirò che tanto ricorda il Don Fanucci del Padrino: Parte II (The Godfather: Part II, Francis Ford Coppola, 1974), dalla fregola romagnola alla Fiat Multipla a metano.
Il messaggio che vuole emergere da queste due ore di comicità dell’assurdo sembra essere un incoraggiamento alla speranza: un omaggio a un Paese in una crisi profonda, che può trovare la forza di rialzare la testa contando sull’incrollabile fede (un po’ malandrina) di un gruppo di eroi picareschi, così diversi tra loro, così simili a noi, semplicemente così italiani.
A cura di Enrico Bocedi
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