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L’intrepida della paura

L’intrepida della paura

Sono lontani i tempi in cui Charles Bronson girava armato nella notte per punire i mascalzoni che si aggiravano per vicoli bui. Da allora i giustizieri di celluloide sono stati molti: dai più sanguinari ai più buffi. Ognuno di loro era mosso dal fuoco della vendetta. Jodie Foster invece no.

La sua Erica Bain, una speaker radiofonica innamorata della vita, di New York e del suo (splendido) fidanzato di colore più giovane di lei, non è mossa dalla volontà di punire “i cattivi”, ma dalla volontà di prendere di nuovo possesso della sua vita. Dopo aver subito un trauma terribile, la paura si impadronisce della sua della sua anima. Erica non riesce più a uscire di casa, come se si fosse trasformata in un diverso essere umano, che percepisce altri odori, altri umori, altri suoni. Il suono nella sua vita è fondamentale. Lei registra i rumori per le strade e li riascolta per descrivere i suoi girovagare ai radioascoltatori, ma quelle voci una volta familiari ora sono piene di ombre. Tutto è una minaccia e come capita spesso negli Stati Uniti, l’acquisto di una pistola potrebbe essere una soluzione. “Non posso sopravvivere un mese senza” dice Erica al commesso. Trovata l’arma illegalmente, le torna il coraggio di uscire, anche di notte. E arriva anche il coraggio di uccidere il rapinatore di un negozio. Erica spara e non riesce a credere che non le tremino le mani. Lei si è trasformata definitivamente in diverso essere umano che sa uccidere, inizialmente senza premeditazione, poi addirittura scegliendo quei cattivi che non le faranno tremare le mani.

Il film ha molto da dire sulla tematica della paura, soprattutto sulle ripercussioni che può scatenare il vivere nella paura. La scelta di una protagonista donna accentua questo aspetto, senza contare che Jodie Foster è praticamente perfetta e dona ad Erica un’umanità e un dolore davvero coinvolgenti. Sotto questo aspetto Il buio nell’anima è un film “post 11 settembre”, nel quale Erica è l’America che, stravolta dal dolore e bloccata dalla paura, trova la via del riscatto attraverso la punizione dei malvagi. In questo senso è emblematica la scelta di Naveen Andrews, l’iracheno Sayid di Lost, nei panni del fidanzato di Erica. Ci si potrebbe leggere la duplice volontà di puntare il dito contro un’America che non riesce a diventare multirazziale, ma anche di un’America che uccide senza motivo l’altro da sé. E non a caso il poliziotto sulle tracce del vigilante ha un forte senso etico e della giustizia, ma improvvisamente cambia idea. E quando accade? Dopo aver visto un filmato dell’aggressione subita da Erica, come a voler coinvolgere anche i mezzi di comunicazione e il potere che hanno sul giudizio delle persone. Una lettura che nasce dalla forza di alcune immagini e da alcune scelte sull’andamento della storia. La sceneggiatura infatti soffre di una serie di eventi forzati usati emblematicamente per sostenere il tema della storia, con il difetto di non preoccuparsi di mettere in scena un andamento coerente.

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