Se un fool diventa re
Cosa accadrebbe se la finzione diventasse più credibile del vero e fenomeni assurdi iniziassero a manifestarsi nel paese più potente del mondo? Certo, usciamo dal cinema e diciamo “è solo un film”. Ma forse sarebbe bello poter credere che “un mondo diverso è possibile”. Questo è quello che Barry Levinson ci prospetta per due ore, per poi ricordarci che comunque è solo una finzione. Ma è pur sempre una menzogna che ci piace, perché per un attimo ci fa sognare.
Numerosi sono gli interrogativi che questa pellicola suscita a proposito dell’universo dei mass media. Non a caso il film vero e proprio inizia in uno studio televisivo, dopo che Jack Menken (Cristopher Walken), manager televisivo, si appresta a raccontarci l’assurda storia di Tom Dobbs. Assurda come è assurdo pensare che un comico possa candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Ma Dobbs, da bravo buffone di corte, conosce gli intrighi e gli scandali che circondano quel grande castello che è la Casa Bianca.
Allora cosa è più vero: un buffone che dice la verità o dei politici che tentano di nasconderla dietro a una facciata di buonismo? E’ esemplare, a tal proposito, la scena del dibattito tra i tre candidati alla presidenza. Kellog e Mills, «ingessati nei loro gessati», ostentano con sorrisi le loro meravigliose famiglie senza preoccuparsi dei problemi veri del loro paese. Tom Dobbs è il “fool” che rompe gli schemi, che svela gli altarini e che, soprattutto, dice la verità.
Non importa che tu sia un comico o un politico patentato per poter governare gli Stati Uniti, l’importante è che tu sia sincero. Ma (ahimè!) la storia insegna che anche questa è una bugia. Forse c’è un po’ troppo buonismo in questo messaggio, un po’ troppa disillusione, eppure a tutti noi piace pensare che possa essere vero. In realtà si scopre presto come l’elezione di Dobbs sia tutt’altro che vera, ma semplicemente dovuta a una falla nel sistema di voto, ad un banale errore informatico. Anche in questo si può notare – tra le righe – un monito a questa società mediatica e informatizzata, nella quale ci affidiamo a delle macchine che dovrebbero semplificarci la vita, ma ne rimaniamo sempre “umiliati e offesi”.
Rispettando la tradizione di un certo cinema americano, anche qui c’è un supereroe (anzi, in questo caso un’eroina) disposto a tutto pur di svelare l’intoppo. Ed è qui che il film prende una piega un po’ troppo da action movie che mal si adatta alla prima parte dell’opera. Forse è un meccanismo utile per ostentare ulteriormente la rettitudine di Tom Dobbs che, venuto a conoscenza dei fatti, decide di rinunciare alla carica appena ottenuta per onor del vero! Levinson ci ricorda, quindi, che la storia non si può cambiare, se non nei sogni (o nei film!). E noi ce ne andiamo con un po’ di amarezza, pensando che forse Tom Dobbs sarebbe un buon presidente.
A cura di Delia Parodo
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