Pagine amare
Un diario, condito di pagine amare quanto la sua padrona. Una rifugio dove nascondere i più oscuri segreti, le più inconfessabili pulsioni.
Due donne, una vecchia e una giovane, e un quindicenne come pietra dello scandalo.
Un legame perverso, quello che nasce tra Barbara Covett e Sheba Hart, fatto di bisogni e sottili tradimenti, un’amicizia che sfocia ben presto in inimicizia mascherata di finta comprensività.
Un amore, come sottile persuasione saffica, quello che la vecchia Barbara prova per la bella Sheba, un desiderio irrefrenabile quello di allontanarla da marito e figli e impossessarsi, finalmente, di lei, del suo corpo e della sua anima.
Un ricatto, l’arma per ottenere l’oggetto del proprio desiderio, giocato su un segreto inconfessabile quanto degenerato: la relazione tra Sheba e un suo alunno quindicenne.
Uno scandalo, quello che finisce sulle prime pagine dei giornali, l’onta di Sheba, sua croce, sua inconfessabile delizia.
Judie Dench e Cate Blanchett ci trascinano in un universo femminile dove menzogne, bisogni, distruttività e primordiale desiderio di trasgressione scandiscono inesorabili la quotidianità nella vita delle due protagoniste. Dall’altra parte, l’uomo, usato da entrambe unicamente come mezzo per consumare sé stesse. Il mascolino, incarnato nel marito, nel figlio handicappato di Sheba, nel giovanissimo Steven e nei professori della scuola, perde di soggettività, diviene “idea”, oggetto, rappresentazione di rapporti annoiati o, per contrasto, proibiti. Oggetto di pulsioni travestite da finte passioni. Oggetto e nulla più.
Ottime premesse, dato il cast e la trama. Gli ingredienti per un eccellente film dai risvolti psicanalitici c’erano tutti. Bergman ne avrebbe costruito un capolavoro, Richard Eyre, nel suo piccolo, un film sufficiente, impreziosito dalla recitazione di due attrici da Oscar. Il dramma si consuma tenue e lineare, senza picchi. L’analisi dei personaggi risulta completa all’esterno, ma superficiale all’interno, come un ottimo guscio che avvolge qualcosa di ancora inconoscibile, come se il regista o lo sceneggiatore fossero spettatori esterni e non autori della vicenda. I dialoghi espletano un’ottima funzione in superficie, tradendo uno scarso interesse per l’analisi approfondita dell’animo umano.
Restano echi forti di luoghi decadenti: le grigie periferie londinesi, gli spaccati di vita scolastica e i riquadri di tristi riunioni familiari, che attanagliano una bellissima trentasettenne in una morsa di noia e infelicità, che la spingono a cercare vita al di fuori, trasgredendo. Ma i paesaggi e le abitazioni non assurgono a metafore di stati d’animo, ma vengono contemplati unicamente nella loro materialità, solamente per descrivere una realtà sociale ben definita.
Curiosità
Precedentemente, entrambe le protagoniste hanno interpretato il ruolo della regina Elisabetta Tudor. Judy Dench nei panni di un’Elisabetta ormai anziana in Shakespeare in Love (id., John Madden, 1998), Cate Blanchett una giovanissima Elisabetta alle prime armi in Elizabeth (id., Shekhar Kapur, 1998), e vestirà ancora i panni della Regina Vergine in The Golden Age (id., Shekhar Kapur, 2007)
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