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Di padre in figlio

Di padre in figlio

Nessun buonismo. Nessuna consolazione. Nessuna pietà. L’esordiente regista Alessandro Angelini viene dal documentario. Si vede e si sente. Nel suo primo lungometraggio di finzione, L’aria salata, nessun posto è lasciato a visioni edulcorate o a sentimenti facili. E già si potrebbe quasi gridare al miracolo, visto il desolante panorama cinematografico italiano contemporaneo in cui, tolto Paolo Sorrentino e pochi altri, continua a prevalere la politica dei buoni sentimenti e dell’happy end.

Questa è invece una storia diversa. Una storia in cui la trama si mette al servizio di un più profondo sviluppo emotivo e psicologico dei personaggi. Il contesto carcerario, claustrofobico e angosciante, si fa terreno d’incontro e di scontro per un figlio e per un padre: il tutto si dipana in orrori familiari, fantasmi del passato, sentimenti di vendetta, matasse inevitabilmente da sciogliere. Ed è proprio grazie all’asciutta e rigorosa regia di Angelini (che insieme a Angelo Carbone ha scritto anche la misurata sceneggiatura) che la pellicola non cade mai, in un terreno così impervio e scivoloso, nell’errore di farsi portatrice di vacui sentimentalismi. Con un grande senso del ritmo, una naturale predisposizione alla verosimiglianza, senza nessuna indulgenza o retorica ricercata, il film scorre da solo: e proprio per questo, perché non cerca di emozionare, porta lo spettatore a un’emozione sincera e partecipata, profonda e forse anche duratura. Il film è di per sé vibrante e così non ha bisogno di far vibrare, con mezzi più o meno consoni, le corde del cuore: ci riesce perché è nel suo dna ontologico. Ed è altrettanto efficace Angelini nell’inserire la storia privata nella storia con la S maiuscola: da documentarista qual è ben ritrae la situazione odierna all’interno delle carceri italiane, con i secondini che picchiano e ricattano tanto quanto i detenuti.

A reggere tutto il peso della pellicola gli interpreti: Giorgio Colangeli, noto al grande pubblico per aver partecipato a numerose serie televisive, ma in realtà ottimo attore di teatro e spesso spalla in importanti film (ha vinto il nastro d’argento come miglior attore non protagonista in La cena di Scola), è grande tanto è equilibrato con la sua recitazione sempre in levare; il giovane Giorgio Pasotti sembra forse subire un po’ questa presenza ingombrante e allora ogni tanto si espone sopra le righe. Ma si può certo perdonare qualche sfumatura negativa in questo ottimo mélo familiare all’italiana.

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