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Estetica della violenza

Estetica della violenza

L’inizio in bianco e nero, come un noir, è l’omaggio al primo romanzo scritto da Ian Fleming, quel Casino Royale in cui la spia al servizio di Sua Maestà doveva combattere a colpi di baccarat contro la spia francese La Chiffre, finanziatore e banchiere del Kgb. Così M., diventato una donna proprio grazie a Martin Campbell con Goldeneye (id., 1995), sospira dicendo: «Come mi manca la Guerra Fredda». In effetti, sembra quasi meglio il gelo silenzioso degli anni Ottanta che il terrore esplosivo del 2000.

È tutto un gioco. L’inizio è roboante e eccessivo, esattamente come il suo protagonista: la caccia al fabbricante di bombe è veloce come un videogame, sempre tesa a un climax di spettacolarità che esplode alla fine (e qui il nuovo James Bond diventa anche un mago del prestigio, sparendo in una nuvola di polvere). In una scena che sembra ricalcata sul video di Jump (Madonna, regia di Jonas Akerlund), il fabbricante di bombe ha agilità e precisione, grande eleganza e un atletismo fuori dal comune, solo per far emergere la rozzezza di un Bond che atterra pesantemente dopo salti mortali, che sfonda pareti, facendo esplodere ambasciate, uccidendo senza rimorso. Agendo, insomma, davvero poco segretamente.

Agente non segreto. Più che un’elegante spia in smoking, Craig è un killer di Stato: un macellaio, un egocentrico inesperto e, per questo, affascinante. Rappresenta il primo Bond, il racconto degli inizi e dei difetti. Proprio per questo, le differenze che dividono Craig dal precedente immaginario bondiano diventano accettabili, fino a essere seducenti.
Se la Guerra Fredda richiedeva modi d’agire misteriosi, mosse appena accennate, equilibrismi sul filo della morte, il terrorismo internazionale, così plateale, spettacolare e violento, contagia anche chi tenta di combatterlo: Bond diventa così un gigante tutto muscoli, una macchina sparatutto, segno appariscente che la violenza ha una sua estetica. Un’estetica di cui ogni spettatore gode, senza comprendere quale sia la cultura che l’ha formata.

Casino Royale è, per questo, un James Bond moderno, perché parla ancora di terrorismo, nascondendo ogni elemento inquietante sotto la perfetta struttura di un grosso corpo compatto, sotto l’eleganza della ricchezza e della tecnologia. Piace per la bellezza del corpo del protagonista, ancora di più, per quello che rappresenta: una forza al di sopra di tutto, che gioca con la vita, propria e altrui, che spesso non comprende il nemico, ma preferisce distruggerlo, ucciderlo, annientarlo con la violenza di una lama.
Per quale motivo, poi, Le Chiffre sanguini da un occhio morto, è un mistero; l’elemento diabolico del banchiere del Male è, quasi un segno mistico. Un occhio cieco che sanguina è un occhio che non vede, ma che è ancora vivo. È, forse, segno che il Nemico ha più occhi di quanto non lasci intuire.

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