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Un’orchestra per un sogno

Un’orchestra per un sogno

Sembra davvero, negli ultimi anni, che il genere cinematografico del documentario abbia trovato nuova linfa vitale. Forse sotto la spinta dei gandi successi al box office che hanno ricevuto le pellicole di Michael Moore (da Bowling a Columbine – id., 2002 – a Fahrenheit 9/11 – id., 2004) e di Morgan Spurlock con Supersize me (id., 2004), forse grazie anche a un rinnovato interesse per l’impegno civile, la cui urgenza si è fatta probabilmente sempre più forte, anche in Italia il documentario ha ricominciato a circolare nella distribuzione per il grande pubblico. E, dopo Volevo solo vivere (Mimmo Calopresti, 2005) e Lettere dal Sahara (2006) di un maestro indiscusso del documentario italiano come Vittorio De Seta, è arrivato L’orchestra di piazza Vittorio, firmato dall’esordiente Agostino Ferrente, già aiuto regista di un altro importane documentarista italiano, Silvano Agosti.

Il film, quasi tutto in presa diretta e con telecamera a spalla, è il diario della nascita dell’orchestra di piazza Vittorio: una vera e propria cronistoria, una sorta di video giornale che, prendendo lo spunto da un singolo fatto arriva ad analizzare un momento storico dell’Italia molto più in generale. L’ambientazione è infatti il quartiere Esquilino di Roma, il qartiere multietnico per eccellenza, dove ormai da anni e anni culture, religioni e tradizioni diverse cercano modalità di convivenza e coesistenza. Siamo nel 2002, sono gli anni della legge Bossi-Fini sull’immigrazione. E il film, partecipato, sentito ed entusiasta, appare come un grido di libertà, un inno ai diritti civili e umani.

Dietro infatti alla creazione di un orchestra multietnica c’è la voglia di comunità, di uscire dalle briglie ingabbianti dell’individualismo a cui la società sembra condannarci a tuti i costi, per far sentire la volontà di essere parte di un qualcosa, di un insieme di persone a cui far riferimento in caso di necessità, con cui poter ridere o parlare, con cui potersi confrontare e da cui trarre esperienza e conoscenza. Altro punto focale della pellicola, che a tratti fa davvero venire la pelle d’oca, è l’incredible tenacia, l’immane forza di volontà che anima i propulsori dell’orchestra: un cammino frastagliato di molte difficoltà, di persone a tratti reticenti, di uomini alle prese con il permesso di soggiorno, di musicisti che si trovano per la prima volta a suonare insieme e vengono chi dall’India chi dalla Tunisia chi da Cuba. E l’ormai inflazionato grido “volere è potere” sembra davvero trovar forma e sostanza in questi fotogrammi e nella storia che raccontano.

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