L’industria della violenza
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Nick Love (mai cognome fu più sbagliato: in questo film troviamo odio e violenza, di amore, nessuna traccia), nel 1996 sicuramente deve aver visto e amato Trainspotting. Come il film di Danny Boyle era infatti una psicotica ricostruzione dell’Inghilterra malata sul finire degli anni Ottanta, questo Football Factory è, allo stesso modo, una visione della fine del decennio successivo, in cui il male non è più la droga (che comunque c’è, e a fiumi), ma il calcio. O meglio un certo tifo calcistico, lontano anni luce da quello recentemente ritratto da Ken Loach in Il mio amico Eric. Qui i tifosi non si riuniscono per aiutare un amico, e nemmeno per seguire la squadra del cuore. L’unico obiettivo è, come dice a un certo punto Thomas, il protagonista, «spaccare teste per divertimento».
L’inizio del film è un ulteriore evidente omaggio a Trainspotting, con il ritmo acido delle musiche dei Primal Scream a sostenere le violente immagini dentro e soprattutto fuori dagli stadi inglesi. I protagonisti sono loro, quegli hooligans che, soprattutto nei due decenni scorsi, hanno reso celebre il calcio inglese per la violenza dei suoi tifosi (oggi, soprattutto con una politica di prezzi che ha tagliato fuori dagli stadi buona parte della lower class, non è più così). Gli hooligans sono fiorai, operai, lavoratori che aspettano solo il weekend per sfogare la loro frustrazione. Perché il giorno della partita si rompono le regole e la persona con cui si hanno avuto affari (loschi) il giorno prima diventa il tuo nemico, senza alcuna ragione. Football Factory mostra questo mondo, e lo fa senza volerne dare eccessive interpretazioni sociali. Questo è allo stesso tempo un pregio e un limite. Un pregio, perché è il mezzo che mantiene alta la tensione per tutto il film, un limite perché alla fine fa sentire la mancanza di qualcosa che possa andare oltre agli scontri e alle botte.
Love non è però interessato alla descrizione psicologica dei suoi protagonisti. Gli basta una frase nel bel finale per suffragare la sua tesi sull’impossibilità, per un certo tipo persone, di provare una vita diversa da quella che stanno vivendo. Perché gli hooligans sono così, birra e pugni, prendere o lasciare, sapendo già da prima che «certo che ne valeva la pena, cazzo!»
Curiosità
Il regista ha già diretto quattro film con protagonista l’attore Danny Dyer: oltre a Football Factory, Goodbye Charlie Bright, The Business e Outlaw, tutti inediti in Italia.
A cura di Alberto Brumana
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