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Immaginando la banalità

Immaginando la banalità

Non è quasi mai la storia raccontata a fare grande un film. A meno che non si tratti di un documentario, di una vicenda vera trasportata su grande schermo, di un qualcosa che precorre i tempi, l’oggetto del racconto filmico è spesso e volentieri il pretesto intorno a cui creare una pellicola più o meno riuscita. Trainspotting (id., Danny Boyle, 1996) non è un capolavoro perché parla di cinque tossici, Pulp fiction (id., Quentin Tarantino, 1994) non rimarrà nella storia perché ci sono quattro sparatorie. E Casablanca (id., Michael Curtiz, 1942) non è indimenticabile perché narra una storia d’amore. È il modo in cui la storia viene raccontata che rende grande un film: una regia consapevole, una sceneggiatura brillante, degli attori istrionici; shakerando le vari componenti filmiche in modo più o meno geniale, il cocktail che viene fuori può essere ottimo, semplicemente bevibile, oppure arrivare a essere disgustoso.

Ol Parker gira il suo primo film puntando tutto su ciò che racconta: una donna nel giorno del suo matrimonio si innamora di un’altra donna. E diventa moglie fedifraga e pure gay. Questo sembra voler dire il regista, anche sceneggiatore, cercando probabilmente di creare nello spettatore un effetto shock. Ma siamo nel 2006, si spera vivamente che i confini del non dicibile, non pensabile, non visibile, siano stati sdoganati più o meno tutti; che vedere due ragazze che si baciano e si toccano con passione non sia più motivo d’imbarazzo, né di novità. E, se non si vogliono creare sussulti nello spettatore, ma semplicemente raccontargli una storia d’amore come tante altre, forse più accidentata, forse meno, allora lo si deve fare con personalità, con brio, con un tocco di talento; non infarcirla in un tourbillon di banalità, clichè e luoghi comuni che portano allo sfinimento, che non la rendono molto diversa dalla miriade di commedie sentimentali-romatiche di cui l’industria cinematografica ci imbottisce continuamente.

Tutto si punta sulla variante omosessuale per scandalizzare, salvo poi cadere nel tranello del politicamente corretto, dipingendo in maniera inverosimiledue genitori improbabilmente felici nello scoprire che la loro figlia, novella sposa, è lesbica. Niente nel film è davvero degno di particolare nota, ma tutto sembra perfettamente inserito nell’ingranaggio di una commedia brillante in serie: locations patinate, musica che spesso tenta di avere la meglio per dare verve al film, incessanti primi piani su occhi e bocche che pronunciano frasi melliflue; alla sceneggiatura si deve riconoscere il merito di qualche stilettata da commedia inglese, ma niente di indimenticabile; e agli attori il tentativo di evadere da un plot scontato: su tutti la madre della sposa, una sempre eccellente Celia Imrie.

Curiosità
Piper Perabo e Lena Headey hanno già lavorato insieme nel recente Il nascondiglio del diavolo (The cave, Bruce Hunt, 2005)

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