Non plus Ultra
John Baldetti è un uomo fortunato. Passa la vita in una villetta a Los Angeles a stretto contatto con le star di Hollywood. D’altra parte è un famoso produttore legato alla Sony. È sposato con Marti, una bella bionda, che ha fatto recitare in qualche suo film. Ha già lavorato a una decina di pellicole, e sotto di lui sono passati, tra gli altri, Brad Pitt, Julia Roberts, Elijah Wood e Richard Dreyfuss. Poi, un bel giorno, ha trovato una valigetta. Con dentro trenta milioni di dollari.
John Baldetti ha delle idee strampalate. Con quei soldi, invece che andarsene in vacanza con Marti, ha deciso di fare un nuovo film, Ultraviolet. Deve aver detto al regista Kurt Wimmer: «Prendiamo una bella donna e tanti proiettili, verrà fuori un gran film». All’obiezione che avanzassero un sacco di soldi, avrà risposto «Allora mettiamoci tutti i fondali in digitale, ma senza esagerare, perchè un viaggettino con Marti a ben pensarci vorrei farlo».
La speranza è che Baldetti abbia davvero trovato quei trenta milioni di dollari in una valigetta. Perchè pensare che Ultraviolet possa incassare quanto speso è pura utopia. Per quanto possa essere ingenuo, il pubblico non è stupido. Un aggettivo che invece ben si addice a questo film. Un’accozzaglia di combattimenti, collegati male l’un l’altro, in cui il senso della trama si perde dopo tre minuti (fortunatamente tutta la pellicola non raggiunge l’ora e mezza). Tante, troppe tematiche inserite una dopo l’altra, e immediatamente abbandonate: l’accettazione del diverso, il desiderio di maternità, la necessità della vendetta: tutto appare e poi svanisce. E così in una scena sembra di essere in X-Men (id., Bryan Singer, 2000), in quella dopo in Matrix (The Matrix, Andy e Larry Wachowski, 1999) e poi ancora in Kill Bill (id., Quentin Tarantino, 2003). In realtà si è davanti a una delle produzioni più insulse che, anche in una distribuzione estiva particolarmente assonnata, sia capitato di vedere negli ultimi tempi. Wimmer di tanto in tanto si ricorda di avere qualche briciolo di talento, prova a inserire qualche presunto tocco d’artista (un rivolo di sangue, una lacrima svolazzante), ma finisce per scadere nel kitch più clamoroso (un’automobile può funzionare come palla da bowling?). E comunque, quando in tutto il film bisogna continuamente ricorrere a una voce fuori campo per spiegare cosa sta succedendo, allora vuol proprio dire che qualcosa non va.
Ma c’è Milla Jovovich! Giusto, e questa è la motivazione per cui Ultraviolet non ha come giudizio una stellina ma ben due. Possibile che un’attrice che, oltre a essere inusitatamente bella, ha anche dimostrato di avere talento, recitando per registi come Spike Lee e Wim Wenders, sia ormai finita ad accettare ruoli come questo? Nel film uccide un migliaio abbondante di uomini, ma sembra che da un momento all’altro debba ammiccare in camera rassicurando lo spettatore: «Perchè voi valete». Spero solo per i signori della L’Oreal che un loro spot possa non costare trenta milioni di dollari.
Curiosità
Prima dell’inizio delle riprese, Kurt Wimmer, regista del film nonchè inventore del Gun Kata, l’arte marziale che inserisce in tutte le sue pellicole, ha chiesto a Milla Jovovich di colpirlo per vedere se avesse imparato davvero a combattere. Risultato: ha iniziato a girare il film con un bell’occhio nero. Stupidità fino in fondo.
A cura di Alberto Brumana
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