The ecstasy of something nameless
Si è soliti raccontare e interpretare i sogni attraverso le immagini. Quante volte la nostra mente è stata, involontariamente, il teatro in cui il nostro inconscio ha proiettato i suoi film? Quante volte di questi film siamo stati i protagonisti oppure passivi spettatori? Chiunque sia solito ricordare, anche solo vagamente, i propri sogni sa che questi non sono costituiti solo da immagini o parole. Vi è anche il vuoto. E il silenzio. Ed è incredibile come proprio le immagini e i suoni riescano a renderci consapevoli dell’esistenza di ciò che è loro opposto.
In Nocturna Artificialia noi non vediamo altro che un sogno, il paesaggio onirico disegnato dalla mente di un pupazzo dagli occhi chiusi, un pupazzo che sta dormendo, che sta sognando, e che nella notte della sua coscienza vaga per le strade di una città priva di altre forme di vita. Cosa vedono i suoi occhi chiusi? Una tenda che, staccatasi da una finestra, cammina raminga tra alberi privi di foglie; una strada vuota, illuminata solo dalla luce di un lampione; i cartelli di fermate a cui non segue alcuna città. Si percepisce un senso di nulla, non pauroso ma vagamente angosciante, che non colpisce ma punge come il freddo di certe sere d’inverno. Quante volte, camminando per una strada deserta o a bordo di un tram semi vuoto, abbiamo provato una sensazione breve ma intensissima, la frazione di secondo di qualcosa che non è paura, e nemmeno angoscia, bensì qualcosa a cui è impossibile dare un nome? I fratelli Quay, in quello che è stato il loro primo cortometraggio animato, sono riusciti a rendere questa estasi senza nome, sono riusciti a rendere il freddo della sera e la consistenza del buio. Quando la marionetta infila il suo braccio da una finestrella che sporge sul niente, sembra davvero che con la sua piccola mano stia accarezzando la notte. Un tram rosso porta questo sognatore avanti e indietro lungo la città del suo sogno. Ne attraversa la cattedrale di cartone, polverosa e disordinata come un vecchio laboratorio. Si fermerà mai? Si sveglierà mai? Quando, infine, apre gli occhi, l’omino si ritrova steso a terra, nella sua stanza ancora attraversata dalle ombre dei fili del tram e a terra rimane, immobile, forse ancora intento a vagare per le strade della città del suo sogno. O forse ormai completamente imprigionato in essa.
Invano si cercherebbe in questa successione di immagini una trama; le immagini, così come in tutti i film dei fratelli Quay, non sono portatrici di significato bensì di sensazioni, indefinite e indefinibili, troppo esplicitamente simboliche per avere davvero un valore simbolico. La loro consistenza materiale non oggettivizza ma rende rarefatto un paesaggio di legno e di cartone, astraendolo, rendendolo simile ai paesaggi onirici creati dai nostri sogni.
A cura di Saba Ercole
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