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Dalla Toscana con disgusto

Dalla Toscana con disgusto

Prima è arrivata la terribile caduta di stile e di tono del maestro Bernardo Bertolucci con Io ballo da sola (Stealing Beauty, 1996). Poi l’emerita sconosciuta Audrey Wells con Sotto il sole della Toscana (Under the Tuscan Sun, 2002). Davvero i film sulla placida terra del centro Italia potevano bastare e avanzare. E invece no.
Un altro mestierante del cinema si è imbarcato in una storia, sentita e risentita, ambientata in quello splendido pezzo di terra che è la Val d’Orcia nel senese. Forse l’arrivo di americani, tedeschi e inglesi che hanno praticamente comprato tutta la campagna toscana, forse la fama della Toscana terra d’arte ha attirato l’attenzione di registi che infatti tutti hanno, bene o male, seguito lo stesso plot. Artisti o scrittori, creativi in genere, nel bel mezzo di una depressione o di un’immancabile crisi creativa si rifugiano in immensi casali immersi nel verde, improbabilmente a mungere animali, cavalcare cavalli, prendere sbronze con i preti del paese.

Ad aggravare in maniera irrecuperabile la situazione di Vengo a prenderti una sceneggiatura, firmata dallo stesso regista Brad Mirman (già autore di numerose altre sceneggiature completamente trascurabili), assolutamente banale e conformista, patetica fino al grottesco, infarcita di melassa fino alla nausea. Il povero Mirman purtroppo anche nella regia non se la cava meglio e anzi guida la macchina da presa in modo insignificante e senza un tocco di personalità, senza davvero la voglia né la necessità di creare nient’altro se non un quadretto carino da attaccare al muro. L’arduo compito di rendere il film quantomeno godibile è davvero affidato unicamente al panorama toscano, eccessivamente e pedantemente inquadrato dal regista con interminabili panoramiche, reso quasi inverosimile da una fotografia che ne satura e ne snatura i colori fino all’eccesso perché il prato deve essere proprio verde e il tramonto viola.

Unica stella della pellicola il mostro sacro Harvey Keitel che però, imbrigliato in un ruolo ordinario e privo di originalità, sembra trovare come unica via d’uscita quella di eccedere anche lui a dismisura, diventando purtroppo a momenti una sorta di caricatura di se stesso e del personaggio. Affiancato da una bella (e basta) attrice come Claire Forlani, dal più bravo Joshua Jackson (indimenticato ai più per il ruolo nella fortuna serie tv Dawson’s Creek) e dal nostrano Giancarlo Giannini, Keitel non è sufficiente per risollevare le sorti di una pellicola che realmente si può solo dimenticare.

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