Coral – mente
Partiamo dalla fine. Perché tanto la fine nel film di Altman non esiste e quindi risulta più divertente girare intorno al valore e al senso delle immagini e poi trarre qualche conclusione. In fondo, nemmeno a Robert Altman interessa molto la fine. Il suo cinema, oltre quaranta i film diretti, è costruito saldamente sul principio del racconto, più che sulla dimostrazione dei fatti. Ecco perché, anche in questo caso, la fine assume una valenza ciclica, quasi simbolica, a dimostrare come la “morte terrena” di un famosissimo programma radiofonico risulta essere soltanto una morte apparente, perché tenuta in vita dai ricordi dei protagonisti e, appunto, dai racconti. La fine, o meglio, la morte, è solo un abile pretesto, un ingranaggio, che permette alla grande macchina-cinema di mettersi in moto, lasciando poi alla coralità lo spazio più autentico della messa in scena. Della finzione.
Il cinema per Altman è coro. Come in Nashville (id., 1975), ad esempio, quando raccontava l’America degli anni settanta, alternando le storie dei ventiquattro personaggi a un comizio politico e a un festival della musica country e western. O come ne I protagonisti (The player, 1992), quando metteva al tappeto le dinamiche della fabbrica dei sogni, o anche come nel più recente Gosford park (id., 2001), quando derideva i vizi della high-class britannica, Altman ha sempre dimostrato di levitare attorno alle storie raccontate, senza farsi troppo notare. E Radio America segue queste precise coordinate. Regia invisibile, spazio al racconto e alla forza di un’immagine densa di contenuti e significati. Spazio alla musica e ai ricordi, ai pianti, alle risate, al mistero del futuro e alla nostalgia del passato. Spazio agli uomini e alle loro storie. Graffianti o tenere che siano.
Perché il cinema di Altman è come un nocciolo d’intimità. Caratterizzato dai personaggi, dalle vicende personali e dagli intrecci, a volte sentimentali, a volte misteriosi, quello di Altman è un cinema che proietta le emozioni in una dimensione libera, in grado di esprimersi. A volte commuove, altre volte fa gridare dalla rabbia o fa ridere di gusto. Pure le note di Radio America sembrano suggerirlo. La musica scandisce i movimenti, detta il ritmo delle immagini, sprigiona una carica decisamente positiva, nella quale il grottesco, il noir, il country, il drama e un pizzico di humor si mescolano sempre in modo omogeneo. Ma il cuore pulsa sempre e pensa, in modo affettuoso e quasi scherzoso, alla vita. Anche quando è cinico.
Un film essenziale, non indimenticabile, ma assolutamente pieno di forza cinematografica. La fine non interessa, bisogna andare avanti. La radio, come la musica, non morirà mai, e su questo Altman garantirebbe.
Curiosità
Per la realizzazione di Radio America, Altman ha avuto come aiuto regista Paul Thomas Anderson, regista del labirintico Ubriaco d’amore (Punch-Drunk Love, 2002) e di Boogie nights – L’altra Hollywood (Boogie nights, 1997), straordinario film corale sul mondo del cinema pornografico.
A cura di Matteo Mazza
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