hideout

cultura dell'immagine e della parola

Un horror da cani

Un horror da cani

Wes Craven è un regista bollito. Lo avevamo già scritto in occasione dell’uscita del film Red eye (id., 2005). Ora, con The breed, il regista-eroe delle nostre notti d’orrore adolescenziali dimostra di essere anche un “produttore bollito”. La sua firma troneggia, grande più del titolo, sulla locandina di questa produzione low-budget, girata dall’esordiente Nick Mastandrea, che infaustamente ha scelto di abbandonare il ruolo di direttore delle seconde unità (maestranza di cui gode una lunga esperienza) per mettersi alla direzione di uno dei peggiori film horror che si siano mai visti al cinema. Perché Wes Craven abbia creduto in un progetto tanto farraginoso e sconclusionato rimane un mistero.

I generi cinematografici hanno le loro regole precise. Per funzionare un film le deve rispettare, un capolavoro le può sovvertire, ma non vorremmo scomodare il gotha della storia del cinema per così poco. Mastandrea dimostra col suo film di non aver assimilato nessuna delle lezioni impartite in passato da maestri come Alfred Hitchcock. I cliché classici del genere sono utilizzati sotto il minimo sindacale. La casa isolata, il nemico invisibile, l’impossibilità del ritorno alla civiltà, sono tutti elementi abusati nel cinema horror, che in The breed risultano poco più che risibili. I cinque universitari, rifugiati nella casetta sull’isola per festa orgiastica, vengono assediati da un branco di cani geneticamente modificati, richiamando alla mente le vicende di Tippi Hedren ne Gli uccelli (The Birds, Alfred Hitchcock, 1963), ma senza essere in grado in alcun modo di giocare sulle leve della paura psicanalitica come fece Sir Alfred; al contrario, il film è zeppo di una totale incapacità di gestire i tempi della suspance, cercando lo spavento solo con miserevoli scene di terrore giocate su entrate in campo improvvise, condite da esplosioni musicali. I ragazzi sono a tal punto mal caratterizzati, da suscitare una cordiale antipatia, così da spingere il malcapitato spettatore a tifare per il branco di cani, che tutto sembrano tranne che feroci assassini. Su tutti Michelle Rodriguez che, non paga della sua esperienza sull’isola deserta di Lost, si presenta sull’isolotto/canile col suo volto eternamente imbronciato e senza espressione (e dire che era sembrata così brava come boxeur in Girlfight (id., Karyn Kusama, 2000).

Infine sono proprio i cani un ulteriore punto debole della storia. Niente effetti speciali, niente cani demoniaci, solo cucciolini che lottano per la loro sopravvivenza. Homo homini lupus? Chi è però il predatore? Perché mai debbano essere stati lasciati a proliferare sull’isolotto? Dopotutto sono poco più che dei cani randagi un po’ incattiviti dagli esperimenti dei militari. Ma certo i cattivi non sono i poveri cani, ma anche in absentia, i nemici sono gli uomini in divisa. Come non averci pensato prima? La morale antimilitarista la lasciamo ad altri. In fin dei conti il film dovrebbe far insorgere non tanto i pacifisti, quanto il popolo dei cinofili e degli amanti degli animali in generale!

Curiosità
Il regista Nick Mastandrea ha posto come condizione per dirigere il film l’utilizzo di cani veri. “Sono un appassionato di fantascienza, di fantasy e di avventura e credo che la maggior parte dei film che appartengono ai generi sopracitati siano fantastici. Ormai le tecniche di computer grafica sono giunte a livelli pazzeschi ma proprio per questo ho pensato che sarebbe stato più interessante girare un film senza ricorrere al computer per dar corpo ai nostri incubi e cercare di utilizzare degli esseri veri. E così mi è venuta l’idea di utilizzare dei veri cani che avrebbero reso il film ancora più terrificante di tanti mostri alieni.”

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»