Pesantezza d’autore
Montaggio e paesaggio
La routine affannosa, gli spazi angusti, le inquadrature dal basso, a schiacciare e soffocare i personaggi all’interno delle loro vite. Il racconto visivo è fatto di lunghe strade deserte, di cieli sporchi, di pochi alberi e baracche dai tetti bassi: un senso di schiacciamento palpabile. Attorno, pezzi di plastica ammucchiati, rosa finto, braccia su braccia tirate fuori a forza dagli stampi, teste pelate di bambole senza occhi, gli stessi occhi che non vedono: quelli di Kyle, stanco come un vecchio, quelli di Martha, che si illuminano appena in chiesa, ma solo per isolarla ancora di più, quelli di Rose, aperti nel momento della morte, ma ciechi. Gli occhi dei personaggi sono vuoti, lontani o semplicemente disinteressati.
Piccole bambole una sopra l’altra, come piccoli sono i personaggi, persi nei paesaggi enormi, che Soderbergh ingigantisce fin quasi a togliere il respiro: sembrano tutti quanti oggetti, mobili d’arredo immobili, tra i macchinari giganteschi che producono lo stesso suono sordo e ininterrotto, tra le poltrone, gli sgabelli, i letti di case piccole, ancora più piccole. Quanto gli esterni sono infiniti, così gli interni si rimpiccioliscono: comunque, è chiaro, per Rose, Martha e Kyle, che si spostano stancamente da un ambiente all’altro, l’unico modo di essere è quello di sparire, invisibili o sopraffatti. E raggelati anche: non c’è alito di vento che li sposti, nemmeno il disastro dell’omicidio. Così, i movimenti della macchina da presa sono impercettibili: battiti d’occhi, istantanee dove non si muove nessuno. Gli oggetti rimangono fermi.
Another Steven Soderbergh experience
Ocean’s Eleven (id., 2001) e Twelve (id., 2004), Solaris (id., 2002), Traffic (id., 2000), Erin Brockovich (id., 2000), Out of sight (id., 1998): le esperienze più luccicose di Soderbergh, i suoi diamanti preziosi, film dove Hollywood si accompagna felicemente alla maestria e alla furbizia di un regista-mestierante dotato di inventiva, di punti di vista colorati, citazionistici, eleganti, perfettamente simmetrici. Il suo esordio con Sesso, bugie e videotape (Sex, lies and videotapes, 1989) è stato di tutt’altro genere: innanzitutto girato in digitale, viene considerato “europeo” più che hollywoodiano, intellettuale più che spettacolare. Così questa vena indipendente scorre sottopelle, con i successivi Full Frontal (id., 2002) e Bubble, entrambi girati in digitale, entrambi con l’intenzione di coinvolgere lo spettatore, di chiedere a lui l’impegno di produrre senso assieme alle immagini che scorrono sullo schermo.
Il dramma grottesco di una middlecass americana senza speranze. Con attori non professionisti, il film cerca di raggiungere un’autorialità dai tempi lunghi (e morti), dai dialoghi straniati, dalle espressioni esangui: film da cinephile, film da festivàl, la parte impegnata di Soderbergh. I titoli di coda, con le immagini fisse degli scaffali pieni di bambole difettate: una carrellata di mostri deprimente e claustrofobica, che costringe lo spettatore in un abisso di tristezza.
Curiosità
Il regista Steven Sodergergh ha intenzione di distribuire un suo corto attraverso BitComet, programma di peer to peer dell’ultima generazione.
A cura di Francesca Bertazzoni
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