Viaggio della fede
Il titolo originale, Il grande viaggio, suona come un’impresa epica, compiuta contro ogni umana previsione. Il percorso narrativo del film di Ismaël Ferroukhi rispecchia fedelmente i canoni del road movie: un punto di partenza, una meta di arrivo, protagonisti diversi che devono affrontarsi per chiarire le loro questioni irrisolte, tappe da raggiungere, prove da compiere e persone da incontrare.
Il viaggio dei due protagonisti è un ottimo mezzo attraverso cui esplorare le differenze abissali che possono nascere all’interno della stessa famiglia.
Il giovane Reda è nato in Francia e, nonostante la famiglia tradizionalista, è cresciuto come un ragazzo francese, ha il cellulare, frequenta coetanei europei e ha una ragazza che non è musulmana; l’anziano padre è profondamente religioso, non sa leggere né guidare l’automobile, ma è saggio di quella saggezza che solo l’età è in grado di conferire.
Lo scontro generazionale è impossibile da evitare lungo il nastro di asfalto che li condurrà fino alla pietra nera custodita a La Mecca. Entrambi, al termine del viaggio, conosceranno un po’ meglio l’altro, comprendendo quali sono le motivazioni profonde che muovono verso mete assai diverse.
Atipicamente, Viaggio alla Mecca può essere inteso come un viaggio all’interno della fede, una riflessione teologica su cosa vuol dire credere in dio, scritto minuscolo perché potrebbe essere generalizzato ad ogni religione, ma al contempo apre un preciso scorcio su quello che è veramente il credo musulmano, fatto di pace, rispetto e preghiera.
Distante cinquemila chilometri da ogni fondamentalismo e ogni atto di terrorismo.
Curiosità
Alla 61esima Mostra del cinema di Venezia, Le grand voyage ha vinto il Leone del futuro, Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”.
A cura di Carlo Prevosti
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