Cose di cui non preoccuparsi
“Non aveva nulla a che fare col destino e nemmeno con la maledetta sfortuna. Per un istante sa cos’ho pensato? Che quello fosse una specie di misterioso appuntamento.”
Da una parte il mondo, complesso, duro, difficile, che segue delle regole sconosciute agli uomini. Dall’altra parte un ragazzo e un uomo, con le loro piccole vite, i loro problemi, a volte così miseramente stupidi eppure così essenziali.
Sullo sfondo una città quasi in assedio, una manifestazione, la folla, la polizia.
Andrea è uno studente politicamente disinteressato, che frequenta le “buone compagnie”, gioca a pallacanestro, è socio del cineclub dell’università. La sua vita scorre tranquilla fino a quando non incontra Francesca: per lei il colpo di fulmine che lo porterà su una strada che non avrebbe dovuto essere la sua.
Mario Felici è un dirigente amministrativo del consorzio che decide di rilevare in proprio un cantiere, ma accumula una valanga di debiti e per non fallire cerca di ottenere credito da una banca.
Anche se nulla pare accomunarli sono tra loro molto simili: sono smarriti nella società di oggi. Non riescono a condividere se stessi con le altre persone e non riescono a capire le loro vite e quello che accede intorno. Così sono i rapporti umani: persi nella solitudine, nell’angoscia esistenziale, nascosti dall’apparente normalità di vite qualsiasi.
Questa è una tematica che ritorna nei suoi romanzi: l’incomprensione tra le persone, il non riuscire a comunicare, la condizione irrisolvibile di solitudine dell’uomo. La sua incapacità di comprendere la vita. Ritorna l’amarezza, la delusione e la malinconia di chi credeva nel mondo in cui stava vivendo, e d’un tratto si rende conto che non c’era nulla in cui credere.
Tutto ciò, unito al fatto che le storie sono ambientate in contesti molto attuali, rende i suoi romanzi una telecamera sul mondo.
Con la sua scrittura fresca e veloce, con un sapiente cambio di immagini e prospettive, con l’attenzione ai suoni, ai silenzi e alle voci (e scusate se è solo un libro!) Bugaro riesce a intrappolare il lettore tra le strade della città in rivolta, tra le trentamila persone della manifestazione, tra il gas dei lacrimogeni e la paura di chi scappa.
Lo conduce al silenzio di un autogrill quasi deserto, perso nella notte, in compagnia di una donna, fino a portarlo su quell’inevitabile strada.
Rende tangibile ogni sentimento o sensazione.
Infonde quel senso di onnipotenza e insieme di terrore dell’esistere.
Non sembra di leggere, sembra di vivere.
Gli altri libri di Romolo Bugaro:
“Indianapolis” 1993 (cominciato a scrivere quando aveva 15 anni)
“La buona e la brava gente della nazione” 1997
“Il venditore dei libri usati di fantascienza” 2000
Romolo Bugaro, abita a Padova dove è nato nel 1961. Laureato in Scienze politiche e Giurisprudenza, divide il suo tempo tra lo studio legale e la scrittura.
E’ apparso sulla scena letteraria italiana grazie ai volumi Under 25, che nel 1986 pubblicarono due suoi racconti.
Nel 1993 venne pubblicato “Indianapolis”, ma il vero successo arrivò con “La buona e la brava gente della nazione”. Anche se questo romanzo, al festival di Reggio Emilia “Ricercare”, nel 1997, fu criticato con una certa durezza. Vero è che Bugaro scelse apposta una parte del romanzo “particolare” del punto di vista linguistico, proprio per rendersi conto dell’effetto che poteva avere. Le critiche non mancarono, ma di sicuro il suo libro colpiva. (E non bisogna dimenticare che ci furono voci che si levarono in sua difesa). Del resto questo romanzo è giunto in finale al Premio Campiello.
A cura di Silvia Poli
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