Complicità e completezza
Il film di Isabel Coixet è un sussurro che rappresenta molto bene cosa sia una relazione. Ben inteso, non è un trattato sull’amore o una didascalia noiosa e pedante di comportamenti da tenere o di frasi da raccontare. Non è un film presuntuoso e narcisista. Non spreca sguardi e corpi.
La vita segreta delle parole è un viaggio alla scoperta della sincerità, del desiderio, dell’incontro. È un racconto dolce e disperato, affettuoso e sofferto. È un film su due corpi e due cuori che un giorno, per caso, si incontrano. È un film sottovoce, nel senso che non strilla e non urla, parla piano, ma si fa capire. Non vuole disturbare, cerca la verità attraverso il quotidiano. Non il clamore per un istante.
Il pudore e l’affetto della rappresentazione sono lo specchio della necessità rintracciabile in ogni relazione: colmare un bisogno. Questa in particolare è manifestata innanzitutto da due bisogni fisici: lei è sorda, anche se ha un apparecchio, e, lui è cieco anche se momentaneamente. Due corpi, quindi, che cercando l’attenzione l’uno dell’altro, si pronunciano come corpi desideranti, bisognosi, incompleti. Alla base di ogni relazione c’è un bisogno, che non è da ritenersi come negativo. È un tipo di bisogno che non fa sentire più deboli e più insicuri. È quel bisogno che porta alla sincerità del dialogo e alla complicità. Complicità che è sinonimo di completezza. Perché da soli non si può raggiungere la completezza.
Da questo bisogno sussurrato, trasmesso, comunicato, ma mai urlato, nasce la relazione tra Hanna e Josef. Fatta di sguardi, piccoli gesti, parole dette e non dette, silenzi e pensieri. Una relazione in cui il bisogno di affidarsi e concedersi all’altro cresce sempre di più, un po’ per allontanare il passato, un po’, forse, per sconfiggerlo definitivamente. Poi scoppia l’amore. Vediamo solo un bacio ma ascoltiamo i ricordi, gli anni spezzati, le occasioni perdute. Il passato emerge da sottoterra, sempre sottovoce. Un dialogo nato su una sedia e su un letto, tra garze e bende, che sembra statico, perché su una piattaforma lontano da tutto e da tutti, che invece si rivela profondo e dinamico, proprio come il mare su cui giace.
Ecco perché le parole hanno una vita segreta. Perché sono un canale espressivo, un ponte, un’immersione, un collegamento, una tonalità della vita. Sono la ninfa del dialogo. E si manifestano in due modi: parlando a, cioè lasciando che le parole arrivino a destinazione e che si trasformino da potenza in atto; e parlando con, cioè che le parole accolgano l’altro diventando terreno di confronto e scambio. La parola prende i contorni di un abbraccio, di un gesto di fiducia, di una forma di sicurezza.
Anche se le cicatrici rimangono.
Sempre sottovoce.
A margine il mare. Un’oca. Un cuoco. Una canzone di Tom Waits.
Stacco nero.
Pensieri e, ancora, inevitabilmente, parole.
A cura di Matteo Mazza
in sala ::