Nella terra dell’assurdo
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Come poter definire Absurdistan se non con la parola che è già contenuta nel suo titolo? Il nuovo film di Veit Helmer, regista tedesco che già dieci anni fa aveva sorpreso con un altro film purtroppo disperso, Tuvalu, gioca infatti tutta la sua narrazione sul filo dell’assurdo, superando in molte occasioni il limite che anche ogni sospensione dell’incredulità si pone. Attenzione però, perché questo non è assolutamente un giudizio negativo. Absurdistan infatti vuole essere una fiaba, un racconto dolcemente onirico ambientato in un luogo ai margini della Terra.
Le scelte eccentriche effettuate da Helmer, quindi, sono funzionali alla creazione di un’atmosfera magica, che con la realtà vuole avere ben poco a che fare. Si respira aria da Favoloso mondo di Amelie, portato nelle sue caratteristiche all’eccesso grazie all’ambientazione in una terra che non c’è. Un’idea vincente è stata quella di rendere il film quasi completamente muto, lasciando la voce quasi sempre fuori campo. Il regista ha dichiarato che questa scelta è stata fatta soprattutto per poter scegliere un cast internazionale, a prescindere dalla lingua (e infatti gli attori provengono da molti stati dell’est ma anche dalla Francia e dalla Spagna ad esempio), ma è evidente come si sia trattato ancora una volta di un espediente che rendesse il film ancora più inverosimilmente fiabesco.
Certo, prima di vedere il film bisogna sapere a cosa si sta andando incontro e comunque a volte affiora un retrogusto un po’ stucchevole, ma Absurdistan rimane senza dubbio un’opera originale, anche per la distribuzione. Il film infatti, pur essendo in russo, è una produzione tedesca, ma ha scelto come mercato principale quello americano, debuttando con successo al Sundance e bissando con altrettanta gloria in piccoli festival minori d’oltreoceano.
Curiosità
Il film non c’entra nulla con il romanzo dallo stesso titolo, scritto da Gary Shteyngart, edito in Italia e anch’esso ambientato in una terra immaginaria. Il termine “absurdistan” sembra tra l’altro essere stato inventato da Václav Havel ai tempi della perestroika.
A cura di Alberto Brumana
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