Meteocinismo
Atmosfera telefinta di Matteo Mazza *******
Un telo verde. In coda al telegiornale un uomo occupa spazi e immagini sovrimpresse. Dave Spitz ci sa fare. Si capisce da come muove le mani. O dal suo modo di fluttuare come se fosse lui stesso una delle correnti provenienti da nord. Dave Spitz è pure telegenico, sa sorridere al momento giusto, possiede una buona parlantina e, in fondo, non è un brutto uomo. Eppure Dave Spitz non è laureato in meteorologia.
Un telo verde, sigla. Cinque minuti e tutto diventa materiale d’archivio. La vita lavorativa di Dave Spitz è tutta qui. Cinque minuti della giornata, pagati profumatamente, a recitare / inventare previsioni del tempo. Dave Spitz è anche una star televisiva conosciuta, un nome noto, suo malgrado, da tutti coloro che lo reputano un sacco della spazzatura, che lo riempiono di insulti, che gli scagliano contro rifiuti di ogni tipo. Ma Dave Spitz non è solo questo. Dave Spitz è anche un padre.
Anche in questo caso, però, le cose non vanno come Dave Spitz vorrebbe. La figlia dodicenne Shelly è obesa, demotivata e per tutti quelli della scuola è “zoccolo di cammello”; il figlio di quindici anni Mike ha avuto un piccolo problema di droga ed è stato mandato da uno psicologo pedofilo. Dave Spitz vorrebbe che sua moglie Noreen tornasse ad amarlo. Dave Spitz vorrebbe, almeno una volta nella sua vita, fare bella figura con suo padre, che è una colonna degli Usa, un uomo che verrà ricordato.
Con aria malinconica e piena di nostalgia, Gore Verbinski racconta la storia di un uomo fondamentalmente deluso dalla vita, in cerca di riscatto, ma intrappolato in una morsa da lui stesso costruita nel tempo. Il regista, autore di alcuni dei più clamorosi successi degli ultimi anni (La maledizione della prima luna – Pirates of the Carribbean, 2003, The ring – id., 2002), rinuncia all’azione per dirigere un film più intimo, cinico, a tratti filosofico a tratti comico. The weather man è una pungente riflessione sulla vita di uomo che, nonostante i successi lavorativi, non trova spiragli di felicità nella propria esistenza. Un commedia mescolata a tinture drammatiche, ricca di spunti interessanti, provocazioni e gag esilaranti, dove la trovata più riuscita dello script di Conrad risiede proprio nella professione di Dave Spitz, un ciarlatano privo di ogni qualifica e capacità. Un uomo finzione nel mondo telefinto della telefinzione in balìa dell’imprevedibilità della vita.
Un film che evoca molto le atmosfere e le tematiche di American beauty (id., Sam Mendes, 2001). Dal riscatto sociale / famigliare alla relazione coniugale, dal rapporto padre / figlio alle piaghe sociali come la pedofilia, la droga, l’obesità (in quell’altro era l’anoressia), fino alla voce fuori campo e alla riflessione sulla morte. Tutto è pronunciato sempre con un sottile strato di umorismo nero, senza però arrivare mai a una robusta conclusione. Verbinski lancia frecce come Dave Spitz, e anche lui non sempre riesce a ottenere quello che vorrebbe.
Accumuli di noia a nordest di Antiniska Pozzi *****
Il brutto in arte è tragicamente più bello del bello perchè documenta il fallimento umano. Devo averlo sentito dire in un film. Certo non è un concetto che si adatti all’ultima pellicola di Gore Verbinski, che in effetti è brutta, ma non documenta realmente il fallimento umano. Non come il Cinema ha fatto e può fare. Non è colpa di un Nicholas Cage che comunque è “in parte”, e forse neanche del “talented Mr. Verbinski”, ma vedendo questa noiosissima pellicola viene da pensare che Dave Spritz, l’uomo delle previsioni, si merita tutto quello che gli capita. Si merita il fast food lanciato sui risvolti dell’impermeabile, si merita la figlia cicciona, il disprezzo della moglie, il senso d’inferiorità rispetto al padre scrittore.
Dave Spritz è un fallito a metà, e quel che gli capita è solo apparentemente fantozziano: lo dimostra un finale in cui, in fin dei conti, anche a lui spetta un fettina del sogno americano, un finale che dovrebbe essere amaro ma non risulta esserlo più di tanto: colpa di una sceneggiatura dispersiva e prolissa, ricca di passaggi inutili che appesantiscono l’insieme, incapace di disegnare un personaggio che coinvolga lo spettatore e lo appassioni alla sua vicenda umana. Dovremmo impietosirci perchè il sogno americano di Dave Spritz ha richiesto il suo prezzo in termini umani e familiari? Forse, ma non accade. Il prezzo lo paga anche chi il suo Hello America non lo avrà mai. Questo è il fatto.
La metafora tempo (atmosferico) / destino è troppo debole, l’imprevedibilità degli eventi non può essere sempre una giustificazione (non nella vita, e nemmeno nel Cinema…). Gli spunti di riflessione restano sommersi e soffocati da troppe microtrame che non sono funzionali al tema principale, che non sono funzionali neanche all’atmosfera che il film dovrebbe trasmettere. La critica alla società americana e a un certo modus vivendi che ne è il prodotto resta veramente in superficie, tutto si ferma sulla soglia: non si ride e non si piange, tantomeno si fanno entrambe le cose insieme. Il cinismo non ammette le mezze misure, e Mr. Verbinski stavolta confeziona un film che ha paura di se stesso, e forse di non piacere, e che per questo, inconsciamente o non, preferisce la via di mezzo. Peccato per le poche cose valide (Michael Caine, ad esempio). In ogni caso, il brutto si può perdonare, la noia no.
A cura di Matteo Mazza
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