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cultura dell'immagine e della parola

Eccedere per sentirsi vivere

Con lo sguardo dritto in macchina, il protagonista John Wilmot chiarisce fin dal primo secondo che la sua figura non piacerà allo spettatore. Il conte di Rochester è conscio dei propri eccessi, delle sue continue trasgressioni. D’altronde sarà sempre lui stesso ad affermare successivamente: «Sono costretto a eccedere se voglio sentirmi vivo». Qui egli si svela, si spoglia per la prima volta realmente dei propri vestiti, mettendo a nudo quella afflizione che lo pedina costantemente. Il perdersi nella nebbia dei lussuriosi parchi londinesi, nel fumo dei bordelli e negli interminabili bicchieri di vino non è che un umile tentativo per sentire e per sentirsi. Come ci rivela sempre John, la vita non è altro che un inutile susseguirsi arbitrario di eventi, in opposizione al teatro, rigida pianificazione di fenomeni e tempistiche. Solo il teatro, infatti, può permettere una nuova genesi per la figura del conte / poeta. Se il suo anticonformismo è una sorta di schiaffo alla vita e ai suoi costumi, il teatro è inevitabilmente catarsi salvifica. In esso avverrà non a caso l’incontro con Elizabeth. In lei John proverà a versare una qualche forma d’amore, sensibilizzandola alle tecniche dell’immedesimazione per interpretare i suoi personaggi teatrali, chiedendole in cambio la perfezione nella messa in forma della finzione scenica, unica superficie su cui possa poggiare l’empia realtà del suo vivere. In ogni modo John Wilmot non può sfuggire alla condanna della quale è egli stesso l’artefice. Se infatti in punto di morte avrà un modo per riscattarsi e se dopo di essa verranno celebrati nello stesso teatro la sua immagine e i suoi versi, non potrà sfuggire dalla condanna che anche il Re Carlo II gli ha profilato: essere se stesso.

Riuscire a porre al centro di un’opera di questo tipo un attore come Johnny Depp è sicuramente un punto a favore di Laurence Dunmore. La sua interpretazione, come quelle di Samantha Morton e John Malkovich, permette di permeare lo spettatore dello spirito che animava la vita del conte di Rochester. Ma il regista è consapevole che il suo lavoro non si può fermare qui. Così riesce a ricostruire magnificamente gli ambienti e le strade, la nebbia e il letame della Londra della seconda metà del XVI secolo, che trasuda di accuratezza e realismo immediatamente percepibili. Con memoria kubrickiana, insieme ad Alexander Melman decide di girare gli interni con la luce naturale di sole candele, regalando al film immagini granulose con ombre quasi pittoriche.

Ma il punto su cui la pellicola meno riesce a insistere è l’elemento trainante il suo stesso svolgersi, cioè la libertà, la libertà di osare. La sceneggiatura si concentra sull’oralità dei personaggi, tralasciando ciò di cui il cinema ci permette maggiormente di godere: l’immagine. Inoltre piuttosto che evadere, che trasgredire, il film a tratti preferisce adagiarsi su schemi precostituiti, visibili nel rapporto tra John ed Elizabeth. A quel punto allora può sorgere il dubbio che quel tanto predicato anticonformismo non sia altro che un velo per mascherare una comoda posizione di marketing.

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