Solo corpo
La locandina del film inganna: Il gustO dell’anguria non è un film erotico, per nulla pornografico. È un film sul corpo, e la “o” ingigantita del titolo può essere tante cose: il tondo della vagina o quello dell’anguria, un contenitore da riempire, come una bocca, un invito ad entrare in un racconto filmico vuoto e silenzioso.
Il suono dei corpi
Nella prima scena i personaggi si preannunciano attraverso i suoni dei loro passi: rimbombano prima che l’occhio abbia la possibilità di vederli. E i rumori del sesso, chiaramente simulato nel film, sono quanto mai realistici; un dito spinto a ripetizione in un’anguria, il gocciolio dell’acqua sul corpo, lo strofinio delle mani insaponate, l’espirazione e inspirazione di una bocca dalla sigaretta. Sembra quasi che il regista inviti chi osserva a chiudere gli occhi per ascoltare il senso di pesantezza che acquistano i corpi sulla scena, attraverso le loro impronte nell’aria, nelle onde sonore. E sono corpi estremamente pesanti, fatti di una carne che non si scioglie nemmeno al calore, che mantiene la compattezza di una cosa, pur nella nudità del sesso; una corporeità che non si alleggerisce mai nella sensualità, non diventa eterea, erotica, allusiva. I gorgoglii finali nella bocca della protagonista risultano più pornografici di qualsiasi visione, disturbanti, perché profondamente veri: riescono a rendere la complessità dei corpi che si incontrano, che, producendo odori, sudore, fluidi, dichiarano la loro esistenza, pezzo dopo pezzo. E la violenza dell’ascolto diventa, per chi osserva, finalmente, un vero motivo di imbarazzo.
Corpo-anguria-corpo
Strana e divertente la presenza rosso fuoco di queste angurie tra i corpi desideranti dei protagonisti. Perché? Cosa sono? Segno concreto, un altro corpo. Forse l’anguria è il centro simbolico del desiderio sessuale tra i due protagonisti, il segno della loro divisione. È un figlio partorito e mai concepito. Una bizzarria pornografica? Nel film l’anguria è come un fiore spudorato, che mette in mostra pistilli e polline, semi e incavi, una rossa cane penetrabile, da mangiare e divorare. Il gusto dell’anguria è il sapore della vagina, la possibilità del divoramento del femminile. E infatti, fino a quando una donna non viene consumata del tutto, l’anguria della protagonista rimane intonsa nel frigo. Poi, cade a terra, si spacca e finisce mangiata dalla protagonista stessa. L’anguria sta ai corpi come gli inserti musicali stanno al film intero: sono un’alterazione del corpo, degli eventi naturali, un incidente che illumina di senso e colora il grigiore della solitudine. Sono il gusto che manca alla realtà, il sogno e la fantasia. L’anguria va consumata, un destino che ai corpi viene precluso: immobili, rimangono costretti dentro se stessi, per nulla manipolabili, isolati nell’inquadratura, invisibili. Incapaci di consumarsi, rimangono divisi, muoiono prima di essere riusciti a divorarsi.
Curiosità
Dalle note di regia: «Sumomo Yozakura è arrivata dal Giappone. Si è spogliata da vera professionista. La sua nudità ci ha incantato. Se ne è andata dopo solo otto giorni e ci ha lasciato un paio di scarpe con i tacchi alti per ricordo. Dopo la sua partenza ci siamo interrogati sul corpo. Che cos’è esattamente un corpo?»
A cura di Francesca Bertazzoni
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