Meglio fare due passi
Si spengono le luci.
La struttura è quella classica della fiaba. D’altra parte era difficile aspettarsi originalità. Lui ballerino albanese povero e con grandi sogni, lei principessina romana fidanzata con tanghero che non l’ama e calpesta i suoi sogni. Qui si scivola pericolosamente nel didascalico. Il sordido mondo dell’avanspettacolo clandestino nei teatrini abusivi. Ma dai, esistono veramente? La regia videoclippara, le immagini che rallentano per sottolineare la drammaticità degli eventi. Manierismo un po’ fine a se stesso. La telecamera birichina indugia sulle marche delle auto e degli alimenti. Malcostume, ma forse è solo un peccato veniale. Una dichiarazione d’amore grottesca sulle note di “Maramao perché sei morto?”. Cos’è, una presa in giro? La casa occupata, Kledi balla all’ombra di una gigantesca bandiera del Che. Questo potrebbe anche infastidirmi. Un’inquadratura “artistica”, costruita per esaltare le sode chiappe del protagonista. Sento Ansia che sale. Le questioni di stampo sociale si sistemano rapidamente e senza traumi, il lieto fine si avvicina. Io mi sto incazzando. Un personaggio viene “dimenticato” e nessuno saprà mai che fine hanno fatto. Perché? Perché? Perché? E in conclusione, un balletto solitario risolve tutto portando fama e successo.
MA BASTA!
Quando le luci si sono riaccese, i miei occhi erano iniettati di sangue.
Sono balzato davanti allo schermo urlando a squarciagola: «Ullallallà, Passaparola, Felicità!».
Poi, memore del miglior Sid Vicious di sempre, ho estratto la mia fida cerbottana e ho cominciato a sparare bossoli di carta bagnata sul pubblico, sperando di centrare in fronte almeno una ragazzina in libera uscita dal proprio inferno personale a base di bibite dietetiche, suonerie del cellulare e accademie televisive. E infine sono scoppiato a piangere.
Confesso che la storia della cerbottana me la sono inventata.
Ma questo Passo a due (che ci dicono essere ispirato alla vera storia di Kledi Kadiu) è un film veramente atroce, una trista rimasticazione dei più dolenti cliché televisivi degli ultimi anni. Insomma, che un film sia brutto ci può anche stare, soprattutto se non è un prodotto sul quale si concentrano grosse aspettative; ma un’operazione di questo genere no, non è giustificabile.
Magari è colpa mia, forse sono solo un romantico un po’ rincoglionito, ma ci sono brutture e storture che trovo già poco sopportabili alla Tv, dove comunque (e soprattutto in determinate fasce orarie) vige l’imperativo di vendere pubblicità e fare cassa, ma che in una sala cinematografica non voglio proprio incontrare.
Al cinema i sogni vanno creati, non possono essere venduti di seconda mano.
Il problema, secondo me, è che il tempo televisivo sta diventando un pericoloso riferimento anche al di fuori del teleschermo.
Mi spiego: in Tv, purtroppo, si ritiene sia necessario confezionare la realtà in blocchi compressi di facile fruizione. È una questione di linguaggio: se si vuole mostrare la vita di un gruppo di persone le si chiude per cento giorni in una casa, se si vuole rappresentare la gavetta dei giovani artisti li si iscrive a una scuola della durata di nove mesi e si enfatizza l’enormità del loro impegno (e intanto noi ci facciamo cinque anni di università per poi finire disoccupati).
Tutto e subito, resta giusto il tempo per una televendita.
Ma se nel flusso televisivo, superficiale e soggetto a un continuo “rumore di fondo”, questa manipolazione può passare inosservata, nella sala di un cinema l’assurdità si amplifica fino a diventare violenza.
Passo a due, nella sua ingenuità, è la messa in scena di un sistema di pensiero bacato, capace di appiattire anche i pochi spunti che meritavano un approfondimento, primo fra tutti il tema dell’immigrazione dall’Albania all’Italia.
Niente da fare: il permesso di soggiorno si conquista in un giorno, portandosi a letto una potente pierre, così come la coscienza politica si risciacqua in una sera, invitando a cena in un ristorante di lusso la ragazza che gestisce la casa occupata (salvo poi scordarsela al tavolo col conto da pagare, giusto contrappasso per una “pseudocomunista” che si ingozza di aragoste).
Datemi pure del moralista, non me ne frega niente. Magari sto ingigantendo un piccolo problema, ma quello che mi spaventa è la capacità del cinema di resistere allo scorrere del tempo (quello reale).
Quando tra qualche anno ci saremo dimenticati degli Amici di Maria De Filippi, forse ci troveremo tra le mani una copia in dvd di Passo a due.
Ecco, non vorrei che quel giorno qualcuno si sentisse autorizzato a vedere questo film come una rappresentazione dei valori della mia (della nostra?) generazione.
Nota
Premetto la mia totale ignoranza a riguardo, comunque i balletti presenti nel film mi sono sembrati piuttosto belli.
A cura di Marco Valsecchi
in sala ::