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Incroci d’amore

Incroci d’amore

Lacrime incandescenti e fiamme che l’acqua non può smorzare. Il fuoco dell’amore, l’unica forza in grado di spiegare questo piccolo miracolo, è una metafora tanto semplice ed esatta, tanto popolare, da essere ormai caduta nella banalità. Eppure il nocciolo di poesia in essa contenuto riaffiora con forza in Il castello errante di Howl, ponendosi come senso ultimo del film e come nucleo portante dell’intera opera miyazakiana. Una verità che può apparire svilita nel significato perché usurata, ma che genera ancora un genuino stupore se contemplata attraverso lo sguardo incantato tipico del regista giapponese.
In Miyazaki, del resto, nulla è mai scontato o banale. La ricorrenza non significa asettica ripetizione, e gli elementi grafici e tematici già familiari allo spettatore sono ogni volta rinnovati e riscopribili. Per questo Howl si inserisce coerentemente nella filmografia miyazakiana e al contempo ne costituisce un perfezionamento.
Princess Mononoke (Mononoke Hime, 1997) segnava l’apice della complessità nella riflessione sul rapporto uomo – ambiente esterno. Qui si porta a compimento la ricerca sull’ambiguità dei personaggi, sempre presente nell’opera miyazakiana; la dimensione individuale prevale quindi su quella sociale. C’è sì un conflitto che pervade la collettività, ma si tratta di una “stupida guerra” senza causa precisa contro un nemico informe. Fra gli abitanti del castello errante, solo Howl è coinvolto direttamente nella battaglia. Per tutti gli altri la guerra è una condizione esistenziale permanente più che un avvenimento, una minaccia che costringe alla fuga continua.

In uno spazio–tempo cangiante sia all’esterno che all’interno, in una condizione di continua allerta, si muovono dei personaggi dalle sfaccettature caleidoscopiche, come il castello che li ospita. Il gusto per l’ossimoro muove la vicenda: Sophie, ragazza immobile seduta ad adornare cappelli mediocri, intraprende finalmente un lungo viaggio – che è poi il viaggio della vita e dell’amore – nelle membra arrugginite di una vecchina. Incontrerà un bambino che si traveste da vecchio, un giovane bellissimo che è sempre fuggito, una strega apparentemente malvagia e bella, ma che in realtà è una vecchietta perdutamente innamorata. La duplicità non è nuova in Miyazaki, ma qui si perfeziona in una rete di rovesciamenti speculari, in cui ogni personaggio partecipa della natura dell’altro. Il chiasmo approfondisce le semplici opposizioni gioventù – vecchiaia, bellezza – bruttezza, immobilità – fuga.

Su questo tessuto di scambi caratteriali, narrativi, cromatici, poggia l’amore ardente e salvifico di Sophie. L’amore scambia i caratteri e genera mutazioni irreversibili: i capelli di Sophie imbiancano, quelli di Howl imbruniscono, a segnare una giovinezza riacquisita e una maturità finalmente conquistata. L’antica metafora trova il suo vigore in una forza sempre rinnovata.

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