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Colorado cinema noir

Colorado cinema noir

Quo vadis, cinema? di Carlo Prevosti ******

Lo spunto nasce da un libro pubblicato per la collana Colorado Noir. Si gioca in casa, sembra voler dire Salvatores. Fin dalla locandina, una scarpa femminile nera, lucida e un po’ feticista da cui scivola una goccia di sangue, appare chiaro che siamo di fronte ad un cinema di genere noir, con tutte le implicazioni del caso. Fenomeno strano, quello del noir in Italia, genere che fino agli anni settanta è stato artefice di una vera e propria rivoluzione povera del genere (basti pensare ai primi Argento, Bava, Fulci, tanto amati da cinefili e tarantiniani) ma abbandonato quasi completamente negli ultimi decenni. Il tentativo di riportarlo in auge non è solo di Salvatores (basti pensare a Eros Puglielli, Matteo Garrone, Alex Infascelli) rimanendo però nella piccola riserva indiana di casi isolati.

La protagonista è Giorgia, un’intensa Angela Baraldi, una donna matura, disillusa dalla vita, senza affetti. Lavora senza stimoli nell’agenzia di investigazioni di suo padre, verso il quale soffre evidentemente di un complesso edipico. Giorgia è un personaggio atipico nel panorama del cinema italiano, non ancora avvezzo a mostrare figure femminili politicamente scorrette. È costretta a frugare le ombre di una città che sa nascondere bene i propri segreti. Passa le notti in locali dove si suona e si beve, tormentata dal dubbio di aver sprecato la propria vita. Scavare nel suo stesso passato sarà l’indagine più difficile di tutta la sua vita, un viaggio tra i ricordi e i segreti di famiglia.

Il film racconta la detective story che porterà Giorgia a conoscere quello che accadde sedici anni prima in occasione del suicidio della sorella. Così per lo meno crederà lei, perché solo lo spettare avrà modo di mettere insieme tutti i tasselli di un puzzle mai completo. La narrazione avviene per scoperte e come sostiene il regista «c’è una teoria filosofica che sostiene che se vuoi davvero far “conoscere” qualcosa a qualcuno non puoi raccontargliela, perché, nello stesso momento in cui tu la racconti, ne stai già cambiando l’essenza e, in un certo senso, la verità. Il metodo giusto sarebbe quello di limitarti a fornire elementi e indizi e lasciare che sia l’interlocutore a scoprire la cosa e, quindi, a “conoscerla”». Questo quello che avviene in un’indagine su un delitto. Il detective raccoglie diversi elementi che, a volte, sembrano non avere un collegamento logico e giunge a scoprire la verità solo quando è in grado di collegarli tutti.

Ombre dal passato di Ciro Andreotti *******

Abbandonati i viaggi e le fughe delle prime pellicole, che lo portarono sino all’Oscar del 1992 vinto per Mediterraneo (1991), Gabriele Salvatores ha da lì in poi compiuto un differente percorso professionale verso generi, esplorazioni e sceneggiature molto differenti, trattando la lotta alla disoccupazione con Sud (1993) e giungendo alla fantascienza in stile Blade Runner (id., Ridley Scott, 1982) con Nirvana (1997).
Riprendendo il percorso abbandonato qualche anno fa con l’epilogo felice della notte degli Oscar, il regista originario di Napoli, ma milanese di adozione, ricomincia dove aveva lasciato la sua ultima pellicola. Lavorando con Niccolò Ammaniti per Io non ho paura (2003), thriller basato sul romanzo omonimo dello scrittore romano, Salvatores aveva raccontato ben più di una semplice trama gialla, narrando di fatto il viaggio introspettivo compiuto dal piccolo Michele Ametrano, interpretato da Giuseppe Cristiano, verso la scoperta della vita.

Ripartendo da quel film e da un nuovo romanzo noir, scritto dalla bolognese Grazia Varesani, ma non pensato, come il precedente, per un set cinematografico, Salvatores ne traduce la trama in un’efficace sceneggiatura con altrettanta verve, non spostandone la location da una Bologna grigia, piovosa, lugubre, che solo in inverno sa abbracciare fra portici pronti ad ingoiarti in un agguato. Descrivendo i riti di vita di Giorgia Cantini, una donna solitaria e dedita all’alcool, che vive facendosi, per sua stessa ammissione: «i fatti degli altri», privandosi di una vita propria, vivendo nei ricordi della madre e di Ada, la sorella che ha preferito imprigionare i propri sogni nel cappio di una fune, vivendo il rapporto difficoltoso e mai veramente risolto, con il padre, ex ufficiale dei carabinieri. Un Luigi Maria Burruano caratterista di altri tempi più e più volte prestato alla televisione, che fornisce una maiuscola prova di sagacia interpretativa, calandosi a menadito nel ruolo di genitore autoritario con mille ragioni per detestare la vita che l’ha privato in un sol colpo di moglie e figlia.

Forti connotazioni noir anche stavolta mascherano il viaggio introspettivo di una donna dei giorni nostri, che non deve spostarsi dalla sua città per potersi conoscere meglio. Il prodotto ultimo è un tributo ai primi film di Salvatores e al cinema, che qui prende volto e forma di Andrea Berti. Spasimante di Giorgia, professore, docente di storia del Cinema al Dams di Bologna con le fattezze di Gigio Alberti, attore feticcio del cinema di Salvatores, che si cala nel ruolo di appassionato di cinema d’epoca e di Marlon Brando in particolare.
Salvatores sceglie per la parte di Giorgia Cantini una quasi esordiente Angela Baraldi, cantante bolognese della scena Underground, che si immedesima alla perfezione in un personaggio scomodo, poco femminile, che preferisce una vita di solitudine e lavoro alla gioia di un rapporto stabile. Ma che entro la fine della pellicola si ricrederà lasciando sulla conclusione un alone di mistero.

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