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Sopra e sotto la montagna

Sopra e sotto la montagna

Il progetto di Daniele Vicari, a partire dal titolo, è molto ambizioso. L’intenzione è quella di raccontare due prospettive diametralmente opposte di una regione, raccontando due storie di analoga solitudine. Sotto la montagna c’è Max uno studioso del laboratorio di fisica del Gransasso, sui pascoli in cima alla montagna c’è Bajram, immigrato clandestino macedone che facendo il pastore cerca di riscattare il suo passa con la malavita albanese.
L’orizzonte degli eventi è la superficie a “senso unico” di un buco nero; dopo averla oltrepassata, le leggi della gravità stabiliscono che è impossibile tornare indietro, impossibile sfuggire alla potente morsa gravitazionale del buco nero. Un luogo in cui terminano gli eventi fisici, luogo in cui il tempo si ferma in memoria ancestrale di quella che fu l’esplosione iniziale. I pascoli e il centro di fisica voluto dal prof. Zichichi sembrano essere due estremi di un universo in espansione, invece si rivelano luoghi di solitudine paralleli, ancor più che opposti. Le vicende di Max e di Bajram si mettono allo specchio e si riflettono uguali in tutta la loro diversità.

Max allontanato dalla comunità scientifica dopo aver falsificato dei dati di laboratorio tenterà un velleitario suicidio e l’intervento di Bajram lo salverà portandolo nel suo mondo. Le due solitudini confluiscono, si studiano e si confrontano, diventando necessarie una per l’altra.
Vicari venne a conoscenza del fenomeno della pastorizia clandestina lavorando per un documentario in Abruzzo dal titoloUomini e lupi, in cui per facile analogia, i lupi più pericolosi erano quelli a due gambe e non quelli a quattro. Un fenomeno sommerso, gestito illegalmente in completa clandestinità. Giovani albanesi di origine macedone erano costretti a lavorare come pastori senza dare nell’occhio per racimolare i soldi sufficienti per riscattare i documenti, aprendo finalmente la via per la sospirata meta della loro fuga dalla miseria, la Germania.

Il film è nettamente diviso in due parti, la prima (claustrofobica) sotto la montagna, ambientata all’interno del centro scientifica, la seconda (agorafobica) negli sterminati prati dei pascoli abruzzesi, in modo da sottolineare in modo marcato il drastico cambiamento subito da Max nell’espulsione dal proprio mondo. Il contatto con il giovane pastore triste sarà per lui occasione di una redenzione che, però, accadrà a scapito della sicurezza di uno di loro.
Vicari dimostra uno sguardo attento ai problemi sociali, sia quelli legati ai margini nascosti della società, sia a quelli di una “autoeletta” crema che nasconde del marcio nel suo cuore (il padre di Max è stato inquisito durante Tangentopoli). Dopo Velocità Massima (2002), il tema della velocità ritorna prepotente in questo film, paradossalmente accentuato dalla descrizione della lentezza della vita dei pastori. Trattare di scienza in un film senza farla diventare fantastica è un’impresa difficile, ma Vicari ci riesce e questo è già un grande pregio.

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