Da un glande potele delivano glandi lesponsabilità
Stephen Chow avava già dimostrato con Shaolin Soccer (Siu lam juk kau, 2001) e The God of Cookery (Sik san, 1996) che il suo cinema era più vicino al concetto orientale di anime piuttosto che al cinema tradizionale. Il corpo degli attori, coreografato da Wu Ping (l’artefice di Matrix – The Matrix, Andy e Larry Wachowski, 1999), e deformato da effetti speciali all’insegna dell’inverosimile, diventa un oggetto plastico che il regista trasforma a suo piacimento. Se i calciatori shaolin nelle loro acrobazie riportavano alla mente i cartoni animati di Holly & Benji (icona calcistica nipponica per più di una generazione) con tanto di deformazioni della palla appena calciata, in Kung Fusion i protagonisti sembrano usciti da un manga di Akira Toriyama (Dragon Ball, Dottor Slump & Arale) in cui il corpo assume stati differenti in base al grado di concentrazione che viene raggiunto.
In effetti l’oggetto di culto delle nuove generazioni, la consolle per videogiochi, è forse un punto di riferimento più che necessario per il film di Chow, che sceglie un’ambientazione (il vicolo dei Porci) che assomiglia ad un ring per incontri di un videogame come Mortal Kombat o Street Fighters. Chow però annulla l’aurea di serietà che circonda i videogiochi, puntando sull’assurdo di movimenti e di parole, creando un netto distacco tra l’imperturbabilità dei volti dei suoi protagonisti rispetto l’idiozia di ciò che viene detto/fatto.
Chow per la prima volta lavora con capitali occidentali, della Sony, e produce un film che nasce per il mercato internazionale. Curiosamente Kung Fusion, nel suo rimarcare alcune tradizioni prettamente cinesi come l’arte del Kung Fu, risulta un opera estremamente globalizzata, consapevole del fenomeno internazionale che sta coinvolgendo il cinema orientale, ma anche di ciò che avviene dall’altra parte dell’Oceano (Pacifico questa volta). Gli sberleffi a molto cinema americano degli ultimi anni non risparmia (quasi) nessuno, da Martin Scorsese e le sue Gangs of New York (id., 2002) a Tarantino e Kill Bill (Kill Bill: Vol. 1 e Vol.2, 2003/4), da Spider-man (id., Sam Raimi, 2002) a Hulk (id., Ang Lee, 2003) e tutto il cinema di origine fumettesca.
Punto negativo del film, purtroppo, è l’edizione italiana, che doppia ciascun personaggio del vicolo con un accento dialettale nostrano (eliminando la erre dalla dizione) dimostrando di non aver colto l’imbarazzo provato dal pubblico nel precedente Shaolin Soccer, dove i monaci/calciatori erano stati doppiati da alcuni giocatori di Lazio e Roma in dialetto romanesco. In effetti una traduzione piatta sarebbe stata poco efficace, ma il risultato è poco edificante. Per fortuna è possibile attendere l’uscita in dvd per potersi godere la versione originale con i sottotitoli (da fanatico ma ne vale la pena!). Speliamo bene!
A cura di Carlo Prevosti
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