Il labirinto della colpa
Una immediata dichiarazione di genere fatta di pioggia, notte e sangue per un film che si inserisce nella scia del nuovo thriller spagnolo di Alejandro Amenabar, Jaume Balaguerò, Laura Manà & C. che ha provato ad aggiungere uno sguardo latino a un genere storicamente associato al cinema americano. La psichiatra Beatriz Vargas (La Cristina Brondo di L’appartamento spagnolo – L’auberge espagnole, Cèdric Klapisch, 2002 – e Ti piace Hitchcock – Dario Argento, 2005), look insolito con tacchi alti e camice bianco si muove, tra formiche e pasticche, in un labirinto di dolore, solitudine e sensi di colpa al confine tra realtà e incubo.
Scenografia evocativa
La casa di cura è un microcosmo dove tutti spiano tutti imprigionati in una scenografa tra futurismo e design anni settanta. L’arredamento dai toni blue e grigi, i primi piani insistiti su sfondo accecante e le continue immagini di acqua completano questo non-luogo che sembra immaginato da David Lynch e George Orwell, dove i medici vestono di bianco per distinguersi dai pazienti dalle tute verdi e un misterioso malato è marchiato dalla “M” come il noto mostro del film di Fritz Lang.
Regia ostentata
La moltiplicazione degli schermi e una inquietante voce narrante trasmettono la sensazione di una storia vissuta dalla prospettiva di chi guarda, una sorta di soggettiva distorta dalla esasperata frammentazione dei punti di vista. Un cadavere che guarda i suoi piedi come da un piccolo schermo mentre viene chiuso nella cella frigorifera, i monitor della clinica e una grande vetrata dallo sfondo bianco accecante delle dimensioni di un cinemascope rafforzano tale impressione. Frequenti passaggi a effetto da un’inquadratura all’altra, posizioni angolate della macchina da presa, effetti sonori amplificati e primissimi piani di oggetti inquietanti caratterizzano uno stile di regia ostentato che si cimenta con un genere dove a volte l’evocazione è più efficace della sottolineatura. Forse la provenienza dagli spot pubblicitari del regista ha condizionato alcune scelte estetiche. Lo spettatore è catapultato forzatamente in un circuito incubo – ipnosi – realtà dove si mescolano eccessivamente passato e futuro, flash back e flash forward. Gli sceneggiatori, giocando con la visione del pubblico, si sono persi nella mente della protagonista in un a storia che parte da Io ti salverò (Spellbound, Alfred Hitchcock, 1945) e si conclude con un’ormai intuibile colpo di scena.
Curiosità
Il regista nonché produttore David Carreras ha diretto dal 1991 diversi spot pubblicitari, documentari, diverse serie tv e, nel 2002, due film per la tv, El otro Gomez e Corto Maltese: the ballad of the salt sea.
Feodor Atkine (il dr Sanchez Blanc) è apparso, tra l’altro, in Alexander (id., Oliver Stone, 2004), in Ronin (id., John Frankenheimer, 1998) e in Tacchi a spillo (Tacones lejanos, Pedro Almodovar, 1991).
A cura di Raffaele Elia
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