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Ai confini della realtà per un panino

Ai confini della realtà per un panino

American Trip – Il primo viaggio non si scorda mai: da un titolo come questo ci si aspetta un film in stile American Pie (id., Paul Weitz, 1999), Maial College (Van Wilder, Walt Becker, 2002) o meglio ancora alla Road Trip (id., Todd Phillips, 2000).
Si pensa al road movie di iniziazione o alla solita commedia corale di ragazzi al college fatta di belle compagne, partite di baseball, party e vacanze con le solite e infinite allusioni sessuali, parolacce e volgarità.
Se già questo filone che ha il suo nobile capostipite in Animal House (National Lampoon’s House, John Landis, 1978) aveva ormai esaurito la sua freschezza e carica dirompente, ripetendosi in prodotti dozzinali ma comunque ancora in grado di far divertire e svagare, con American Trip si resta spiazzati, per non dire agghiacciati davanti a tante idiozie.

Se fosse rimasto il titolo originale almeno sarebbe stato più onesto: Harold and Kumar go to White Castle: incuriosisce ma non mente.
Il film infatti è la storia due amici che un venerdì sera decidono di uscire per andare a prendersi qualcosa da mangiare: ma non vogliono un hamburger qualsiasi, vogliono, sognano, rincorrono i magnifici hamburger con le loro «gustose cipolline croccanti che scricchiolano tra i denti per poi sciogliersi in bocca» del fast-food White Castle.
Inizia così un percorso ai confini della realtà tra strade sbagliate, scontri con teppisti, un divo autostoppista, una cavalcata su ghepardo scappato dallo zoo, la macchina che si rompe, il meccanico mostruoso ricoperto di cisti e pustole che si chiama Agonia, la sua bella mogliettina, la galera…
E a tutto questo pandemonio si aggiunga l’ossessione di Kumar per la marjuana cosicché oltre al panino di White Castle i due rincorrono come posseduti un po’ d’erba. All’alba, finalmente (per i protagonisti e soprattutto per lo spettatore) feriti, sporchi, insanguinati, incerottati, raggiungono in deltaplano il tanto sofferto White Castle.
E con lo stomaco pieno e strapieno inizierà per loro un nuovo giorno e una nuova vita: questa nottata di avventure/disavventure servirà ad Harold per diventare più coraggioso e intraprendente sul lavoro e nell’amore, a Kumar per rendersi più responsabile.

Una storia surreale, si spera, volutamente; una comicità infarcita di gag da cartone animato e di trovate assurde. Un’odissea notturna dove tutto quello che mai immaginereste invece accade, tutto per l’hamburger di White Castle.
Un susseguirsi di imprevisti che sembra non avere mai termine che e che genera un senso di persecuzione che, per rendere l’idea, può ricordare la situazione di incubo kafkiano di Fuori Orario (After Hours, Martin Scorsese, 1985).
Se con i vari American Pie o Road Trip si riusciva ancora a divertirsi, qui si ride per la disperazione, un paio di momenti sono carini (la sequenza di animazione sorprende), ma per la maggior parte del tempo ci si annoia, si sbuffa, si impreca, incastrati in un’atmosfera da incubo: i due ragazzi del panino ma anche noi.

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