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Licantropi di peluche

Licantropi di peluche

Tagliuzzato e macellato per evitare la censura della Buena Vista. Tre anni di lavorazione tormentata. Scrittura e riscrittura della scenografia, in un clima da rissa tra sceneggiatore e regista. Questo lo scenario nel quale l’attesissima coppia cult del nu-horror, i creatori di Scream, Wes Craven e Kevin Williamson, hanno realizzato un horror disneyano (l’ossimoro non è casuale) senz’anima e che loro stessi hanno deciso di non finanziare troppo per il lancio promozionale. Quasi a volersi distanziare dalla loro creatura e sicuramente efficaci a mandare in cortocircuito quel legame ormai biologico che si era instaurato tra l’occhio visionario di Craven e il cervello immaginifico di Williamson.

Cursed – Il maleficio è un prodotto basato sul concept commercialmente goloso di rimpinzare il suo cast di giovani star dei telefilm per adolescenti tutti ormoni e cellulare. Basti pensare al “sexy barbetta” Joshua Jackson (Jake), noto per il ruolo di Pacey Witter in Dawson Creek e Portia De Rossi (Zela), l’avvocato nella serie TV Ally McBeal. Lo stesso stratagemma di Scream quindi, che ai botteghini riesce a portare quella mandria di ragazzetti brufolosi che legge “Top Girl” e che va in sollucchero all’idea di fondere gridolini di paura a sospiri di compassione amorosa in salsa Beverly Hills 90210.

Peccato che a differenza dell’uomo nero incappucciato di Scream e dell’ineffabile Freddy Kruger nascosto sotto le coperte, questa pellicola non porti assolutamente nulla di nuovo al genere, se non una copia patinata di se stesso. A partire dall’originalità del soggetto. Quale? Alzi la mano chi non ha già visto almeno cinque film in tutta la sua vita su licantropismo, pallottole d’argento e carne umana servita come cena di mezzanotte. La pellicola è stata già vista e rivista decine di volte, un teen-horror movie anni 80 in perfetto stile Scuola di mostri (The Monster Squad, Fred Dekker, 1987). Come se non bastasse il mannaro digitalizzato riesce talmente finto che Uan in Bim Bum Bam in confronto è Godzilla. Anche la sceneggiatura non è da meno: ritmata e godibile per la prima metà, diventa prevedibile e ridicola fino allo strazio nel finale. Unico perla in un mare di palta, la pallidissima freak lady Christina Ricci. Non tanto per la sua interpretazione, quanto per la semplice espressività maliziosa e quell’aura di erotismo e arcano che sprigiona, magnetica e malefica allo stesso tempo.

La banalità non è stata apprezzata nemmeno dal pubblico target su cui la distributrice Buena Vista concentrava tutte le sue speranze. Sono loro stessi a fare pollice verso, gli adolescenti americani che vent’anni fa con questi film andavano al drive-in con la tattica infallibile: prima ti faccio schiattare la girlfriend paura, poi la conforto… a modo mio.
Amico Wes, i ragazzi vogliono ancora cuccare, ma soprattutto, non hanno perso l’attrazione fatale per quella paura lieve ma strisciante che non stenta a ricomparire anche dopo l’ennesima visione di Nightmare on Elm Street (Wes Craven, 1984) o Le colline hanno gli occhi (The Hills Have Eyes, Wes Craven, 1977). E’ venuto il momento di rinnovarsi.

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