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Solo indizi, nessuna soluzione

Solo indizi, nessuna soluzione

Non siamo dalle parti di Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Michel Gondry, 2004), anche se sono l’inconscio e la mente umana le prime protagoniste. Le funamboliche imprese di Baz Luhrmann qui si notano in qualche folle momento musical in cui tutto si colora di flash azzurri, arancioni, rossi del tutto improbabili. La coppia stereotipata di gangster ci ricorda Crocevia della morte (Miller’s Crossino, Joel Coen, 1990), ma forse solo perché Jon Polito è vestito con la giacca e il cappello anni cinquanta e suda proprio come Creighton Tolliver ne L’uomo che non c’era (The Man Who Wasn’t There, Joel Coen, 2001). E anche se Robert Downey Jr. canta come nella serie tv Ally McBeal, qui siamo proprio al cinema.
Se pensiamo anche che The singing detective fu nel 1986 una miniserie tv diretta da Jon Amiel ci rendiamo conto che parecchie suggestioni entrano nel film di Keith Gordon. Dan Dark, il protagonista, buio che va ad affondare le sue radici nell’inconscio, buio che evoca le ossessioni e la bellezza della creatività, è un uomo sconvolto in superficie dalla grave malattia del suo animo. E nella superficie Gordon gioca tutto: il suo intento è quello di mettere molta carne al fuoco, la stessa carne del suo protagonista, distrutta dalla psoriasi come fosse stata bruciata in un incendio.

Generi su generi: dalla gangster story classica anni cinquanta, con bellissimi chiaroscuri, con le ombre dei cappelli larghi a coprire i visi degli uomini, cattivi e affascinanti quanto basta da ricordare Bogart, al musical in stile Moulin Rouge (id., Baz Luhrmann, 2001), con la macchina da presa che ondeggia impazzita, con luci inverosimili e inquietanti, con l’eccesso fantastico di cui è capace il cinema. E poi il thriller, il mistero del complotto, un uomo nascosto nell’armadio, con i suoi occhi in primissimo piano, tagliati dalla luce che filtra dalle ante.

Non da ultimo la matrioska: tipico della cinematografia è raccontare il processo creativo di uno scrittore che non riesce a separare se stesso dalle sue creazioni. E qui il movimento si complica in una spirale: lo stesso Dan Dark si ritrova ad essere protagonista della sua storia, anzi, la sua vita stessa (reale?) si confonde in un racconto dove entrano i personaggi da lui creati e quelli della sua infanzia. Esplicitamente un racconto egli stesso, l’Usignolo canta in un letto di ospedale, nella magnifica immobilità che lo porta e viaggiare con la mente, a crearsi e ricrearsi per tentare di salvarsi.
E alla fine canta davvero, con la sua voce, non più “doppiato” dalle voci originali che intonavano quelle canzoni anni cinquanta. O forse a cantare non è più Dark ma Downey, visto che la sua performance accompagna i titoli di coda? Personaggio o interprete? C’è differenza?

Curiosità
La canzone d’apertura è la stessa con cui inizia Christine, la macchina infernale (Christine, John Carpenter, 1983), ed è stata scelta dal regista stesso che aveva recitato in quel film, nella parte del protagonista Arnie Cunningham.

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