Inferno on the road
Lo sguardo di Jeremiah
Dante Alighieri e Jack Kerouac, a dispetto dei secoli che li separano, si intrecciano in un tutt’uno in questa seconda regia di Asia Argento. Perché Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di J.T. Leroy, racconta i tanti gironi dell’inferno di cui è preda il piccolo Jeremiah, costretto a seguire una madre sbandata e prostituta in un continuo girovagare da una periferia americana all’altra, dove con la carta dei diritti del bambino ci si pulisce il culo.
E come si intuisce già dal titolo, il film ha una miriade di possibili letture e non solo quella palese dell’indicibile violenza fisica e psicologica patita da Jeremiah. Perché accanto alle devastanti sevizie che gli vengono inflitte c’è sempre un panorama di adulti inadeguato, cattolico integralista o borderline che sia, che alla fine, pur per strade diverse, converge nel ritenere il bambino come un oggetto manipolabile e non una persona di giovane età con gli stessi diritti dei più grandi.
Nel quadro di questa moderna forma di schiavitù, anche i servizi sociali statunitensi non sembrano essere all’altezza della situazione. Probabilmente perché frettolosi e non abituati all’ascolto dei bambini. Preoccupati, invece, con stridente efficientismo burocratico, di ristabilire il decoro, l’immagine di una fittizia unità famigliare, ma senza indagine alcuna sulle effettive capacità educative di madri o padri naturali.
Ecco, allora, che le terribili angherie patite da J.T. Leroy, e dal suo alter ego filmico Jeremiah, non sono più solo dei chiari moniti rivolti contro chi usa violenza sull’infanzia, ma anche degli impliciti segnali indirizzati a istituzioni giuridiche e sociali, colpevoli di non offrire un’assistenza psicologica e un controllo attento e costante sulle famiglie dei bambini maltrattati.
Un’altra lettura del film ci permette altresì di constatare un silenzio assoluto attorno alle violenze subite da Jeremiah. Come se tali vicende fossero sempre lontane e non verificabili. E invece sappiamo benissimo, come si è verificato anche in Italia, che gli abusi sui bambini molte volte toccano famiglie che ci stanno accanto o che addirittura conosciamo. In tali casi il menefreghismo o l’omertà nel non denunciare queste violenze ci rendono complici degli abusi sui minori.
Un film che quindi ha il merito di farci riflettere su più versanti sociali e sociologici. Anche se le buone intenzioni dell’autrice non sempre trovano riscontro nel filo narrativo che avvolge lo script.
Lo sguardo di Asia
Valutando la pellicola di Asia Argento, insomma, non bisogna incorrere nell’errore di esimersi dalle critiche negative solo perché se ne apprezza completamente il messaggio etico. Difatti, la netta sensazione che si trae assistendo al film è che l’autrice si sia ficcata in un’impresa non all’altezza delle sue attuali capacità. Probabilmente, in primis, Asia Argento ha preteso troppo dirigendo il film e interpretando contemporaneamente Sarah, la madre di Jeremiah, in una parte talmente prolungata e complessa che fatalmente non le ha permesso di seguire e soppesare il percorso narrativo di quanto stava girando. Troppi, infatti, i temi e le situazioni affrontate nel film. Di conseguenza, molti versanti risultano aperti e poi richiusi repentinamente anche se irrisolti. Questo, ad esempio, accade per le figure dei nonni materni di Jeremiah, che anche se ben interpretati da Peter Fonda e Ornella Muti risultano appartenere quasi a un altro film. Perché di questi due cattolici integralisti, che appaiono e scompaiono nella vita del nipote, avremmo dovuto sapere di più riguardo all’influenza negativa che porterà alla progressiva dissociazione e poi alla demenza della figlia Sarah.
Dello stesso Jeremiah, poi, non conosciamo il percorso successivo alle violenze. Sappiamo che J.T. Leroy ha intrapreso un percorso autobiografico sollecitato dal suo psicanalista, ma questo nella realtà e non nel film. E non può esserci richiesto di integrare nella fiction ciò che sappiamo solo a causa del successo editoriale riscosso da J.T. Leroy.
Questa confusione tra elementi reali e di pura finzione, invece che aiutare, pone solo nuovi interrogativi durante la visione del film.
Prova ne sia che in conferenza stampa, quando accanto ad Asia Argento è apparso il vero J.T. Leroy con cappello nero, occhiali scuri e lunghi capelli biondi da ragazzo e da ragazza assieme, solo allora si è avvertita la reale drammaticità di quanto fosse capitato a Jeremiah. Mentre, durante il film, i travestimenti da bambina che Jeremiah subiva dalla madre apparivano solo dei giochi, anche se deviati.
Della pellicola, allora, rimane il grande richiamo a un potente pathos, a una partecipazione emotiva che certamente ci unisce al protagonista del film, ma che in alcun modo può giustificare dei gravi vuoti di sceneggiatura. Nondimeno, il film di Asia Argento è una denuncia forte e chiara sui diritti universali del bambino troppo spesso ignorati o calpestati. Se questo era l’obbiettivo principale del film, al di là dei giudizi estetici, l’autrice l’ha pienamente raggiunto.
Oltre il film
Per volere di Asia Argento, il 5 per cento degli incassi del film sarà devoluto al call center del Telefono Azzurro, l’associazione Onlus impegnata nella prevenzione e cura delle situazioni di disagio di bambini e adolescenti.
A cura di Osvaldo Contenti
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