Sci-Fi all’orientale?
Il regista Min Byung-Chun sembra avere immaginato un’ipotesi di società del futuro ben più complessa e organica di quella ritratta nel suo film. Ha persino elaborato una cronologia e una geografia precisa di ciò che attende noi uomini, e tuttavia non è facile evincere tutto ciò dalla visione di Natural City, che nonostante la compiutezza tecnica rimane molto al di sotto delle possibilità.
Tra sparatorie e scazzottate in slow motion, la vicenda dell’amore tra il poliziotto R e il cyborg Ria si sviluppa piuttosto oscuramente, e il colpo di scena finale che dovrebbe ricomporre le tessere del mosaico è appena percettibile. In sostanza, a dispetto della frase ad effetto che compare sulla locandina del film (“Finisce l’era di Blade Runner / Inizia il mito di Natural City”), e che – scommettiamo – respinge più spettatori di quanti ne attiri, ciò che colpisce l’occhio dello spettatore non è altro che una riproposizione delle atmosfere del film di Ridley Scott, arricchite, se si vuole, dai progressi ottenuti dalla computer grafica, e da una buona dose di azione.
La vicenda da cui prende le mosse il film, del resto, è identica a quella di Blade Runner (id., Ridley Scott, 1982), e non è chiaro se Natural City sia da considerarsi un remake non dichiarato, un plagio, o – non esistendo più oggi questo termine – un postmoderno omaggio all’opera di Scott.
Min Byung-Chun ha dichiarato di avere voluto girare un film di fantascienza dalle atmosfere orientali, ma se consideriamo che il mondo del futuro ipotizzato da Blade Runner era un coacervo di culture e popoli nel quale già apparivano molto forti le componenti asiatiche – nei volti, nelle insegne luminose, nei ristoranti – forse, allora, la novità su cui dovrebbe fondarsi il progetto di Natural City non risulta così convincente.
Da salvare, alcune scene che tendono alla poesia e che divertono per la dichiarata mancanza di nesso col resto della vicenda (le riprese della “danza” subacquea tra R e Ria, ad esempio) e alcune meraviglie fantascientifiche quali l’immensa, oscura, indefinita nave spaziale Muyoga, metafora della fuga e della speranza, e un gigantesco macchinario rotante che fa da sfondo a una sequenza, e che si scopre poi essere un vero cementificio: se ne potrebbe trarre la conferma del fatto che la fantascienza non è altro che la realtà presente travestita di un succinto vestitino luccicante.
Curiosità
Natural City è il primo film coreano con una post produzione interamente digitale. Ciò ha permesso di uniformare la resa delle immagini tradizionali con quelle in cui è stata impiegata la computer grafica.
Il titolo allude alla possibilità, secondo le parole del regista Min, che “anche se sarà governato dalle tecnologie più sofisticate, se rimarranno umanità e amore, il mondo continuerà a essere sufficientemente naturale”.
A cura di Mario Bonaldi
in sala ::