D’amore e morte tra peonie e bambù
Dopo un viaggio a Tunisi nel 1914 Paul Klee affermò di aver raggiunto la perfetta essenza del colore. Nella rappresentazione delle idee, il tratteggio diveniva quasi superfluo, lasciando al colore il ruolo di esasperazione della propria essenza, la vera forza dell’immagine. Potrebbe questa essere una chiave di lettura di La foresta dei pugnali volanti, il ritorno di Zhang Yimou al genere Wuxia e alla propria personale ricerca della perfezione estetica. Come il pittore astrattista svizzero infatti, il cineasta di Pechino libera la propria forza creativa per cercare la perfezione cromatica, e traendo spunto da una leggenda popolare cinese ci racconta una storia di cappa e spada, ma soprattutto di amore e morte, nemesi e catarsi. Lo fa tre anni dopo Hero (Ying xiong, 2002) e lo fa cercando, se è possibile, di riprodurre con l’efficacia narrativa di sempre un mondo dove il colore domina, in maniera forse anche maggiore che nella precedente pellicola. Ecco che l’opera filmica diventa una tela dal tratteggio quasi assente, dove il rosso sta alla guerra come il verde all’armonia e il bianco al lutto e alla saggezza.
Per il resto Zhang Yimou riprende i temi dell’orgoglio e della passione amorosa, veri topoi della tradizione wuxia un po’ accantonati nel precedente film. Approfondisce minuziosamente i personaggi principali, non eccedendo troppo nei combattimenti e costruendo un triangolo amoroso di rara bellezza, tre elementi accomunati tra loro dalla certezza dell’amore quanto dall’incertezza del tradimento. Protagonisti di un viaggio emotivo fino allo scontro finale, Jin e Mei si amano in maniera profonda ed ineluttabile. Sono loro le due anime del film, due guerrieri che amano, due personaggi ben rappresentati sullo schermo da interpreti d’eccezione. Kaneshiro, star indiscussa in oriente, riesce alla perfezione nel ruolo di combattente diviso dalla certezza delle proprie intenzioni marziali e dall’incertezza della propria tensione all’amare, riuscendo a convincere sia nelle scene d’azione che in quelle drammatiche.
Eccezionale anche Zhang Ziyi che, dopo La tigre ed il dragone (Wo hu cang long, Ang Lee, 2000) e Hero, dà un’ulteriore prova della sua bravura e della sua bellezza struggente. Da cult la scena iniziale in cui danza nella Casa delle peonie. Una vera delizia per gli occhi: musica e danza ma anche, e soprattutto, rappresentazione teatrale. Da manuale anche la scena della battaglia nella foresta di bambù, altro topos del cinema wuxia, che disorienta lo spettatore per il ricorso a una azione a più piani dimensionali: vedere per credere..
Si tratta insomma un film esteticamente bellissimo, una parabola sull’amore e sulla morte, un’opera che ricorda l’universalità dei temi della tragedia, che affascina, coinvolge e che candida il pluripremiato Zhang Yimou, insieme a Wong Kar-Wai, al ruolo di voce narrante della nuova Cina.
A cura di Roberto Monzani
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