Scappiamo, arriva la polizia!
Al 36 di Quai des Orfevres, a Parigi, ha sede la polizia francese. L’immagine che ne emerge non è immacolata, ma le debolezze che vengono mostrate sono poca cosa rispetto alla forte denuncia della corruzione dell’intero apparato che il film muove, ispirandosi ad una storia per buona parte vera.
Il corpo di polizia è un clan, in cui vivono tanti degli stereotipi che abbiamo imparato a riconoscere. Passione per le armi, le macchine potenti e le belle donne. Orari impossibili e sacrificio familiare, nonché una poderosa dose di affinità con gli ambienti della malavita più spicciola, quella degli informatori.
E poi lo spirito di gruppo, di complicità, che lega in modo indissolubile i suoi membri, ma che crea inevitabili gelosie e competizioni tra i diversi dipartimenti.
I danni provocati da agenti dal grilletto facile, ubriachi e festanti, o i regolamenti di conti fuori orario con qualche esponente della malavita sono regolati da un codice d’onore che soccombe, però, di fronte all’ambizione e alla smania di carriera alimentata dai giochi di potere interni al corpo.
Vrinks e Klein sono entrambi candidati alla carica di Direttore Generale. Il primo ha l’appoggio dei suoi uomini, il secondo quello, fondamentale, del potere. Lo scontro senza esclusione di colpi che ne consegue mette a nudo tutte le debolezze e le contraddizioni di un’istituzione pubblica preposta al contrasto dell’illegalità e che appare invece gravemente malata.
Da una parte l’amore per il lavoro in strada, i suoi pericoli e la sua dinamicità è viziato troppo spesso dal non rispetto delle regole e dalla più completa arbitrarietà, tanto da chiedersi chi siano i veri delinquenti.
Dall’altra parte l’attenzione per le esigenze politiche e di potere, le amicizie giuste a palazzo e un tentativo di controllo di vertice di ciò che invece dovrebbe essere amministrato dal buon senso o dalle norme vigenti.
Non è inusuale quindi che si copra un omicidio per avere informazioni, che si ricatti un collega, che le leggi della disciplina non siano uguali per tutti e che un poliziotto possa uccidere mettendo poi tutto a tacere con una rete di ricatto e favori.
Su di tutto le storie personali dei due commissari logorati, insieme all’immagine del corpo di cui fanno parte, da un gioco più grande di loro che alla fine, in un modo o nell’altro, gli si ritorcerà contro.
Perché passare dall’altra parte del fossato, da cacciatore a cacciato, ci fa capire come sia facile diventare un fuorilegge, come nulla sia scontato, e come i codici, la burocrazia, la stessa giustizia, possano facilmente diventare qualcosa di inumano.
Così con un po’ di maschilismo, problemi di alcool e violenza, prostitute rassicuranti e agenti inquietanti emergono i limiti, la nudità, le debolezze dell’uomo. Che solo il gruppo, come l’affetto della famiglia, rendono forte.
Curiosità
Il regista, ex poliziotto, ha preso ispirazione dalle vicende legate alla “banda dei corrotti” gruppo di agenti accusati di svariati crimini negli anni 80 in Francia.
A cura di Lorenzo Lipparini
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