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Tre opinioni per un Grande

Tre opinioni per un Grande

Salviamo Alexander di Alessandro Petraglia *******

Il cinema del nuovo millennio ha sempre cercato i suoi eroi lontano dalla realtà, attingendo ora dai fumetti, ora dai romanzi fantastici, ora dalla fervida immaginazione dei registi. Riconosciamo a Oliver Stone il merito di aver riportato in vita il più grande condottiero che il mondo abbia mai conosciuto, riesumandolo non da fantasiose opere di finzione, ma dai cari, vecchi libri di storia.
È così che nasce Alexander: un tributo a una storia che tutti conosciamo, ma che riduciamo a un insieme di nomi e date, senza mai provare a immaginare ciò che si cela dietro a tutte le nozioni imparate a memoria. Stone, invece, riesce a mettere in scena la vita di un uomo e il suo sogno di unificare il mondo sotto la stessa bandiera, creando un personaggio complesso e accattivante.

Alessandro è rappresentato come un uomo coraggioso e leale, circondato da amanti di entrambi i sessi e seguito da generali più o meno fedeli. Notevole spazio è dedicato anche al rapporto, allo stesso tempo affettivo e conflittuale, da un lato con un padre che si rifiuta di riconoscerlo come erede, dall’altro con una madre che vorrebbe farne uno strumento di vendetta contro il marito.
Il regista fallisce nel tentativo di rendere quella che doveva essere l’effettiva grandezza, audacia e genialità del condottiero, ma in compenso fa emergere l’aspetto più tragico del personaggio: Alessandro, infatti, appare come un sognatore che non riesce, nemmeno dopo aver raggiunto i confini del mondo, a trovare una persona disposta a condividere fino in fondo il suo ideale.
Anche il tema della bisessualità del protagonista è trattato in modo più che dignitoso; il regista riesce a trasmettere l’intensità di un amore nato da lealtà e rispetto, evitando il rischio di mostrare immagini trasgressive. Tuttavia lo spazio eccessivo dedicato al tema stesso tende ad annoiare lo spettatore, compromettendo buona parte del film.

Le scene di battaglia sono spettacolari e sanguinose quanto basta per soddisfare le esigenze a cui siamo ormai abituati, mentre le ricostruzioni dei paesaggi asiatici e delle grandi città, come Babilonia, sono incredibilmente suggestive.
Il plot è interessante e ben orchestrato; geniale la scelta del regista di tagliare una parte fondamentale dello sviluppo della trama per poi restituircela sotto forma di flashback nell’ultima parte del film.
Pregevole anche la scelta del cast, fra cui, accanto a un ottimo Colin Farrell, spiccano l’intrigante Angelina Jolie e i veterani Anthony Hopkins e Val Kilmer.
Concludendo, se appare evidente che la pellicola di Stone non raggiunge, o raggiunge solo in parte, l’obiettivo di esaltare degnamente la figura di Alessandro, è anche vero che Alexander rimane un film avvincente, che non farà certo rimpiangere il prezzo del biglietto.

Due letture per sdoganare un genere di Diego Farina ********

Alexander di Oliver Stone è un film che indubbiamente va visto. Non è un capolavoro, ma sicuramente è una pietra miliare per lo sdoganamento di quelli che un tempo erano i peplum e che un domani saranno i film storici.
Vorrei sviluppare due letture, differenti ma gemelle, nell’analisi di Alexander.

La prima è quella storica, che in un film del genere è fondamentale. Oliver Stone, rispetto a due illustri predecessori, Il Gladiatore (The Gladiator, Ridley Scott, 2000) e Troy (id., Wolfgang Petersen, 2004 – illustre solo ai botteghini), rispetta in maniera precisa la Storia. Uno dei capisaldi delle fiction (romanzi o film) storiche deve proprio essere il rispetto preciso a livello maniacale della Storia. Il grande fascino di questi film infatti deriva proprio dalla Storia, e il tradirla significa creare una sensazione di vuoto all’interno del racconto. La fantasia dell’autore si deve sviluppare all’interno dei buchi che la storiografia lascia aperti. Il motivo di questa mia convinzione è semplice: solo uomini immensi come Omero, Chrétien de Troyes, Shakespeare o pochi altri possono permettersi di rileggere la storia, e facendo questo devono comunque leggerla sotto altre chiavi per rendere il loro operato convincente. Spero che David Benioff non se la prenda.

L’altra lettura che vorrei dare alla pellicola di Stone è quella epica. Il racconto storico si nutre dell’epica. Il fato, protagonista dell’epica, diventa la consequentia rerum nella lettura storica. Sono generi indivisibili.
In questo film l’afflato epico è fondamentale. Lo viviamo nelle grandiose scene di battaglia, forse le più belle che siano mai passate su uno schermo. Sentiamo l’epica nella grotta, quando Filippo narra ad Alessandro i miti classici. Lo respiriamo nella grandezza della natura e dell’architettura umana.
Sembra di sentire la presenza del divino alle spalle dei protagonisti.
Forse l’epica viene, in alcuni momenti, smorzata dalla psicologia, che cerca di ridurre il tutto a una fredda comprensine scientifica del rapporto causa effetto. Ma dietro la psicologia dei macedoni troviamo sempre Apollo e Dioniso, Zeus e Phobos. E allora la scienza torna a soccombere al Fato.

Alexander, perchè no di Giacomo Freri ****

Il kolossal d’autore (un ossimoro di per sé) ha sempre rappresentato un’operazione rischiosa all’interno dell’industria cinematografica americana. Quando si danno in mano a un regista una montagna di soldi per realizzare il suo progetto mastodontico si va spesso incontro a risultati imprevedibili: capolavori unanimamente riconosciuti che mettono però sul lastrico la compagnia e il regista (Apocalypse Now, Francis Ford Coppola, 1979), capolavori non capiti che mandano in fallimento un’intera major (I cancelli del cielo, Michael Cimino, Usa, 1980), oppure, come nel nostro caso, capolavori ritenuti tali solo dal proprio autore che si rivelano poi tremendi flop di critica e pubblico.

Ora, si deve ammettere che la materia in questione, la vita di uno dei più grandi personaggi storici dell’umanità, non era facile da plasmare, ma Stone, sopravvalutando l’intelligenza e soprattutto la pazienza del pubblico (americano in primis), ha imboccato la strada più rischiosa e difficile: la rilettura personale di un mito. Niente da dire su questa scelta, lo hanno già fatto in molti con alterne fortune. Quando la s’intraprende, però, è buona regola utilizzare i guanti di velluto, altrimenti il mito si rivolta contro di te e a quel punto non hai più scampo. Il nostro Oliver, al contrario, al posto dei guanti sembra preferire l’accetta da boscaiolo, sfoltendo una selva intricata come lo è la vita di Alessandro Magno e mettendone alla luce solo alcuni aspetti.

Ne viene fuori il ritratto di una personalità molto ambiziosa (più per gloria personale che per seguire un’ideale di civiltà libera), spesso isterica ed irascibile, insomma tutto l’opposto di un re mitico, geniale e illuminato. Stone sembra poi voler mettere in luce un particolare aspetto della vita di Alessandro, probabilmente alla radice della sua natura di eterno insoddisfatto: il rapporto morboso (edipico?) con la madre e il conseguente rapporto conflittuale con un padre (un Filippo II ritratto come un bovaro guerrafondaio quando invece fu il primo re macedone a capire l’importanza di un’apertura verso la cultura greca) che non lo ha mai accettato. Il tutto infarcito da lunghissimi monologhi (e forse è questo l’aspetto peggiore del film) che vorrebbero conferire un tono epico al film ma che in realtà si rivelano un mix di retorica e banalità. Insomma, caro Oliver, torna ad occuparti della tua amata/odiata America, ti riesce molto meglio…

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