Ma che deragliasse una buona volta…
Il confine tra cinema d’animazione e live-action tende sempre di più ad assottigliarsi. The Polar Express confonde in via definitiva i margini labili che si erano delineati in decenni di storia del cinema e completa la fusione tra quelli che (erroneamente) sono a lungo stati considerati due generi ben distinti. Attraverso una sofisticata tecnica di digitalizzazione del corpo umano, la motion-capture, fino a pochi mesi fa era possibile applicare i movimenti effettuati da un attore in carne e ossa alla struttura wire (a filo di ferro), ovvero lo scheletro interno che permette i movimenti ai personaggi animati con la computer graphic.
L’idea di Zemeckis è stata quella di implementare ulteriormente questa tecnologia applicando dei sensori al viso degli attori in modo che anche le espressioni facciali potessero essere digitalizzate dalla memoria di un computer e in seguito rielaborate su di un modello 3D. Questa tecnica ha quindi permesso a Tom Hanks di impersonare ben cinque personaggi all’interno dello stesso film e, sebbene il capotreno sia evidentemente modellato sulle fattezze del divo americano, l’ex naufrago di Cast Away (id., Robert Zemeckis, 2000) si è potuto infilare nei panni del rubicondo Babbo Natale e, persino, del (poco simpatico) ragazzino protagonista del film.
Il risultato è, per dirla schiettamente, mediocre. I personaggi, che pretendono di essere i più umani possibile, sono animati in modo rigido, assai meno plastici di come appaiono i protagonisti de Gli Incredibili (The Incredibles, Brad Bird, 2004), mentre fondali, scenografie e oggetti inanimati (il treno in particolare) sono assai più curati e credibili.
Ciò che inoltre non convince di The Polar Express è l’aspetto narrativo. Il plot, ispirato a un libro per ragazzi di Chris Van Allsburg, è una storia abbastanza banale dove le progressioni drammatiche sono tanto scontate da risultare noiose, vivacizzate da diverse scene realizzate ad hoc per dimostrare “quanto siamo bravi con la CG”. È evidente che i produttori di film in cui si utilizzi la computer graphic amino mettere in mostra la propria abilità con almeno una scena ad alta velocità (ricordiamo dalle corse virtuali sulle moto di Tron al volo sul tappeto volante di Aladdin, le surfate sui rami di Tarzan e la corrente marina di Nemo, dalla gara degli Sgusci di Star Wars – Episodio 1 alla macchina telecomandata di Toy Story), ma in The Polar Express questa consuetudine viene portata all’eccesso, approfittando di ogni pretesto per trasformare i binari del treno o gli scivoli della fabbrica dei regali in toboga rutilanti. Inoltre nessuno dei personaggi risulta particolarmente interessante, anzi alle volte appaiono fastidiosi (dal ragazzino con gli occhiali a quel vecchio ciccione di Babbo Natale), fatta eccezione per il misterioso Hobo, fantasma natalizio che appare sul tetto del treno, ma che ahinoi, non sfrutta le potenzialità del proprio ruolo.
E poi che fine ha fatto quello spirito sanamente cattivo nei confronti del Natale (per intenderci quello di Nightmare Before Christmas – id., Henry Selick, 1993) e perché siamo costretti a ritornare a quei beceri discorsi sui film “a cartoni animati” (affermazione volutamente errata) come destinati a un pubblico infantile a tal punto che i genitori devono accompagnare i loro pargoli al cinema senza potersi gustare un film adatto anche a loro? Apetta Giulia rispondimi tu…
A cura di Carlo Prevosti
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