Baci agrodolci
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Vedo una locandina su cui capeggia il sorriso della teen idol Hayden Panettiere, e leggo un titolo sdolcinato che parla di baci cinesi. Dico tra me e me: “mi tocca la solita commedia romantica da adolescenti americani”. Poi però penso che ragionando in questo modo avrei subito cestinato film come Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Michel Gondry, 2004), e mi decido a dare una chance a questo Shanghai Kiss. Il risultato? Siamo anni luce distanti dal film di Gondry, ma questo piccolo film si è rivelato sorprendente sotto diversi punti di vista.
Primo. Scopro che Hayden Panettiere non era ancora la star di Heroes quando ha girato questo film (e Ken Leung non aveva ancora partecipato a Lost). Capisco quindi che la locandina è stata disegnata con Hayden già giovane star da copertina. È insomma una scelta di marketing, nulla che centri con il contenuto del film.
Secondo. Anche se con qualche alto e basso, le capacità di scrittura dell’esordiente David Ren sono notevoli. Probabilmente quando capirà di non essere il nuovo Woody Allen ma di poter scrivere qualcosa di più personale, riuscirà a fare un film ancora migliore.
Terzo. È interessante il lavoro sui personaggi. Tutto è focalizzato sul protagonista: lui è la narrazione, grazie a lui il film prende una tinta rosa, bianca o nera. Tutti gli altri sono come personaggi di un cartoon, dalla biondina felice e ottimista al nerd sfigato e ossessionato dalle donne, dal padre alcolista alla cinese sottomessa dal boss. Questo tipo di rappresentazione sottostà a una precisa scelta di sceneggiatura, che non vuole banalizzare la storia, ma concentrarsi sull’essenziale. E ci riesce.
Quarto. Quando a un certo punto si pensa di essere davanti a un clone cinese di Lost in Translation (id. Sophia Coppola, 2003), gli autori riescono a sorprendere con una conclusione che, pur buonista da lieto fine per forza, non lascia troppo con il dolce in bocca ed è perfettamente in linea con il resto del film.
Insomma, quattro punti a favore non fanno certo un capolavoro. Ma fanno almeno un buon film, sottolineando una produzione che, senza troppe pretese, usa il cervello per raccontare una storia romantica. E non è una cosa da poco.
A cura di Alberto Brumana
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