L’insonnia della ragione genera mostri
Il viso pallido ed emaciato, lo sguardo perso nel vuoto, il fisico scavato e stremato. Così appare l’operaio Trevor ai suoi colleghi di officina. Trevor non dorme da un anno e il suo corpo ne risente in modo evidente, ma i danni peggiori accadono nella sua mente. Dopo un incidente che costa un arto a un collega anziano, Trevor viene estromesso dal luogo di lavoro e l’unica persona che dimostra di rimanergli vicina sembra non esistere. Trevor comincia così a sentirsi al centro di una misteriosa macchinazione per farlo sentire pazzo, ma una serie di incontri fortuiti e nefasti gli sveleranno la chiave per decifrare l’intera vicenda.
Brad Anderson, regista del cupo Session 9, (id., 2001) sceglie di raccontare la storia di Trevor con toni cupi, quasi dark, attraverso un’atmosfera che restituisce allo spettatore l’aspetto plumbeo dell’officina meccanica dove lavora il protagonista, ma soprattutto la pesantezza che ogni raggio di sole può avere sul volto di un uomo che da oltre un anno non riesce a dormire. Impressionante in tal senso il lavoro di Christian Bale (già visto nel mediocre American Psycho, Mary Harron, 2000) capace di lavorare sul proprio corpo fino a raggiungere il peso di 45 chilogrammi, mostrando attraverso il suo lavoro la degradazione fisica che la mancanza di sonno provoca sull’individuo, facendo impallidire anche l’analoga performance di Michela Cescon in Primo Amore (Matteo Garrone, 2004).
Il film gioca cromaticamente su una sottrazione di colore, esasperando i toni cupi e metallici. Solo alcuni elementi appaiono stonare perché saturi di colore in modo assolutamente innaturale (l’automobile decappottabile) ma ogni scelta è oculata e, nonostante l’impressione che non ci sia alcun rapporto con lo sviluppo dell’intreccio, tutto troverà una sua logica con il disvelamento nel finale, di cui non è lecito suggerire alcunché.
Lontano dall’essere un film citazionista (alla Tarantino per fare un nome) L’uomo senza sonno deve molto alla storia del genere thriller e ai suoi maestri, sono riconoscibili elementi stilistici e narrativi che possono essere facilmente ricondotti a questo o quel regista. Non è nostra intenzione fare una tabella sinottica di lettura del film in tal senso, poiché sminuirebbe il lavoro del regista, capace di dosare sapientemente questi riferimenti, senza farli pesare sullo spettatore non cinofilo che altrimenti potrebbe sentirsi frustrato. Un accenno alla colonna sonora di Roque Baños (questa lo diciamo che ricorda i film di Hitchcock) capace di appesantire l’atmosfera in modo mirabile senza avere la supremazia sull’immagine, difetto di molte colonne sonore attuali, fatte non solo per accompagnare il film, ma anche per vendere il cd.
A cura di Carlo Prevosti
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