Corpi in serie
La catena di montaggio: un procedimento che è entrato nell’immaginario collettivo anche grazie al cinema. Si pensi a Tempi moderni (Modern times, 1936) di Charlie Chaplin o a Metropolis (id., 1927) di Fritz Lang, film che hanno raccontato la supremazia spietata della macchina e della perdita di umanità del lavoro. La sobrietà delle immagini di Maria full of grace non è meno incisiva delle scenografie espressioniste o della mimica di Chaplin nel trasmettere l’alienazione della catena di montaggio. Maria e le altre operaie compongono dei mazzi di rose tutti uguali, dopo aver tolto loro le spine; sono costrette ad appiattire la grazia caduca dei fiori in merce prodotta in serie, a costringere un corpo vivente in un passaggio di un procedimento. Le ragazze della piantagione industriale sono destinate alla stessa perdita di umanità: infagottate nel grembiule, si riducono a mani che tagliano e aggiustano gambi di fiori. La storia di Maria è lo sforzo di sottrarsi a una vita incompleta negli affetti e nelle gioie quotidiane. Maria non si accontenta di un ragazzo che la vuole sposare “perché è il suo dovere”, non accetta quelle regole disumanizzanti che che non le consentono nemmeno di sentirsi male sul luogo di lavoro. Il frutto del suo grembo è la spinta alla vita attraverso la quale tenta di contrastare l’uccisione dei sentimenti e della dignità umana. Maria lotta insomma per la pienezza della sua vita.
Il corpo, cui si allude nella grazia del titolo, è il punto di partenza e di arrivo del percorso di Maria, e ne costituisce il campo di battaglia. Dal corpo ha origine il malessere fisico che porta la ragazza a licenziarsi, tentando una nuova strada. Quando Maria accetta la prima somma di denaro vende, di fatto, il suo corpo, quello stesso ventre in cui il feto sta prendendo forma. Maria ingoia il boccone amaro del compromesso, le pillole contenenti l’eroina, seppur con fatica: questa è, per lo spettatore, la scena più difficoltosa del film, depurata intelligentemente da ogni suono inutile, ridotta ai semplici fatti, capaci da soli di lasciare col fiato sospeso.
La sofferenza fisica, connessa alla trasformazione in ingranaggio di una nuova catena di produzione, lascia aperta la porta del riscatto per Maria, al contrario di Lucy, che ingoia con più facilità le pillole e che rimarrà schiacciata dalla macchina del narcotraffico. La libertà verrà ritrovata in nome della piccola creatura, portatrice di vita, come la Concezione a cui si fa riferimento.
Premi ricevuti
• Premio Alfred Bauer per la Miglior Opera prima al 54 festival di Berlino (2004)
• Premio a Catalina Sandino Moreno – miglior attrice
• Premio del Pubblico al Sundance film festival 2004
A cura di Fabia Abati
in sala ::