Il demone del botteghino
Doveva dirigerlo John Frankenheimer (L’uomo di Alcatraz, Ronin, USA 1962), il prequel di L’esorcista (The exorcist, William Friedkin, USA, 1973); ma il sei luglio 2002, poco prima di iniziare le riprese, il regista morì. La produzione, capitanata da James G. Robinson, affidò allora la direzione del film a Paul Schrader (Il bacio della pantera, USA, 1982; American gigolo, USA, 1980; Affliction, USA, 1997). Operazione difficile, ambiziosa, quella di aggiungere un capitolo, il quarto, alla saga esorcistica; ma, allo stesso tempo, senza dubbio stimolante, suadente. Il primo film un capolavoro, il secondo superfluo ma dignitoso (e protagonista era Richard Burton); il terzo episodio una involontaria inguardabile parodia.
Le cose in grande organizzate per il prequel: fotografia di Vittorio Storaro, attore protagonista l’intenso Stellan Skarsgard. Ne stava uscendo qualcosa di molto particolare, che sembrava condividere atmosfere e angosce addirittura con il capitolo di Friedkin.
Ma poi, la produzione sbracò. Eccessivamente raffinato, ambiguo, il lavoro di Schrader. La paura, troppo impalpabile. Ma come è possibile che nel ’73 i soli effetti a disposizione erano carrucole, fili invisibili e crema di piselli, e adesso, nel duemila, che basterebbe schioccare le dita per averli, non vengono sfruttati?
Così il produttore Robinson licenzia Schrader e piazza dietro la macchina da presa Renny Harlin (58 minuti per morire, USA, 1990; Cliffhanger, USA, 1993; Driven, USA 2001).
Signore e signori, ecco il risultato: L’esorcista – La genesi (Exorcist – The beginning, USA, 2003).
Da salvare molto poco: la fotografia, gli scenari, che inizialmente lasciano ben sperare, rivelandosi ben presto insufficienti. Nient’altro. Il resto è poco più che un rozzo film d’azione, con iene ferocissime e parecchio digitali, nefandezze varie, squartamenti e zampilli di sangue, per finire con una indemoniata in stile Linda Blair (la protagonista del primo episodio alla quale questa nuova ossessa somiglia molto, sarà per la carnagione verdognola) con tanto di sgraffiature a croce sul volto e contorsioni fantaortopediche. Il povero Skarsgard, che non è esattamente abituato a cose del genere, rimane un po’ perplesso quando deve lottare con il maligno a colpi di rosari e sciarpe viola, acrobazie alla Matrix e scudi energetici divini.
Fino a quando, a un certo punto, lo sfortunato attore scandinavo è a terra tramortito e la bruttissima indemoniata gli salta sopra e inizia a dimenarsi non poco, per indurlo in tentazione. Qui si è già interamente nella parodia, la parodia di quella Linda Blair che nel ’73 ordinava al prete: «Chiavami! Chiavami! », e anche allora, pur nel brivido, si insinuava il sorriso. Lo spettatore, adesso, ormai allo stremo, causa il becerume incoercibile delle due ore precedenti, non può che prorompere in una grassa risata, che è nello stesso tempo anche un pianto, in cui rimpiange il prezzo del biglietto pagato e il film che avrebbe potuto essere e non è stato nemmeno per un attimo, quello immolato sull’altare del crudele, esigente, insensibile, sanguinario, demone del botteghino.
Riponiamo le nostre speranze nel director’s cut. E che il director, per carità, sia Paul Schrader!
A cura di Mario Bonaldi
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