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The cinema of tomorrow (?)

The cinema of tomorrow (?)

Mai come in questi mesi Flint è stata al centro del mondo cinematografico americano. Tra i centomila abitanti della cittadina del Michigan, infatti, sono due i registi con un film in testa al box office a stelle e strisce. Il primo è Michael Moore (Bowling a Colombine, 2001, Fahreneit 9/11, 2004), il secondo è Kerry Conran, l’autore di questo Sky Captain and The World of Tomorrow. Il loro cinema, pur provenendo dallo stesso luogo d’origine, è diametralmente opposto. Se Moore infatti utilizza sfondi reali (la società americana) ma personaggi talmente assurdi da apparire fittizi (Charlton Heston, George Bush), Conran al contrario sfrutta fondali completamente costruiti al computer con personaggi interpretati da attori veri. Questa è la grande novità del film: nemmeno un minuto di pellicola è girato senza avvalersi del blue screen, una tecnica non certo nuova ma mai utilizzata così intensamente.

È questo probabilmente l’unico vero motivo per guardare questo film. Perché in effetti nei primi minuti non si può che rimanere allibiti davanti alla magnificenza delle immagini e a quegli enormi robot che volano distruttivi su una New York d’epoca in cui le Twin Tower non erano nemmeno un progetto. Ma come ogni contenitore deve avere un qualcosa al suo interno, un film non può reggersi sulla sola bellezza dei suoi fondali. Qui arrivano i punti dolenti. Sky Captain si rifà nella sceneggiatura al cinema d’azione di mezzo secolo fa e alla serie di Indiana Jones. Ma non possiede né l’ingenuità del primo né la solidità formale del secondo. Finisce così per essere un complesso di scene e battute scontate, con un senso del ritmo poco convincente (a tratti troppo lento, a tratti troppo veloce) e con un finale risibile. Di interessante rimane la prova degli attori, costretti a una recitazione alla cieca senza la possibilità di vedere ciò che sta loro attorno. Su tutti bravi Jude Law e Giovanni Ribisi, mentre il personaggio di Angelina Jolie, che rimane in scena non più di dieci minuti, appare ancora più stereotipato di quello da lei interpretato in Tomb Raider (Lara Croft: Tomb Raider, Simon West, 2001).

Se il futuro del cinema è questo, ci si deve davvero preoccupare, visto che Immortal ad Vitam (Immortel – ad vitam, Enki Bilal, 2004), altra pellicola uscita contemporaneamente a Sky Captain e realizzata con la stessa tecnica, è forse ancor più deludente. Fortunatamente non è la tecnologia a fare il cinema, ma viceversa. D’altro canto la tecnica d’animazione in tre dimensioni con il blue screen è sicuramente interessante e con le dovute migliorie tecniche, che permetteranno l’eliminazione di quella sgradevole sfumatura sul volto degli attori, e soprattutto con una sceneggiatura in grado di supportare il peso di un intero film, potrà condurre alla realizzazione di pellicole di maggior spessore.

Curiosità
L’ologramma del Dr. Totenkopf che appare alla fine del film è in realtà un lavoro d’archivio che utilizza vecchie immagini di Laurence Olivier.

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