Insolubile sangue
Merito dell’editore Pequod di Ancona avere recuperato e riunito questi quattro racconti di Claudio Piersanti, tutti scritti durante gli anni novanta; racconti tra loro molto differenti, eppure percorsi da atmosfere e nessi comuni. Ad abitare le pagine di queste storie sono personaggi tra loro legati da rapporti famigliari: fratelli, sorelle, padri, figli. Rapporti sempre difficili, tesi, sottratti alla naturalità e al calore dell’idea di famiglia, di nido. Non di legame, tuttavia. E’ forte in ognuno di questi racconti l’idea del vincolo di sangue, quasi di vicinanza coatta, la consapevolezza del nodo insolubile creato dalla parentela stretta. Dunque si sta come estranei attorno a un tavolo, dentro la stessa casa, e tanto più la vicinanza è sentita come condanna, maggiore e più manifesta è l’incapacità di recidere il legame se non attraverso la menzogna e l’auto-inganno.
Nella metà dei casi (il primo racconto, Cinghiali, e il terzo, che dà nome al libro); ad avvicinare momentaneamente due persone è la morte del loro comune genitore: per rispettarne le volontà, per mettere in vendita la vecchia casa ormai vuota. L’incontro è occasione per scoprire nuove ulteriori divergenze e diffidenze; se un po’ di calore affiora, esso è subito affossato dal rancore, dal ricordo della distanza, dilatatasi nel tempo, che ha separato i due. Sembra, dai passaggi che descrivono questi glaciali rapporti, che sia nel passato, un passato sfuocato e vuoto, il luogo in cui andrebbero ricercati i motivi del distacco. Fa freddo, tra le parole che compongono queste pagine di Piersanti: anche sotto il sole d’agosto è un sudore diaccio, malato, quello che copre il protagonista di Cinghiali. E se tra fratelli e sorelle la situazione è sterile, cambiando il grado di parentela le cose non vanno molto meglio: tra genitori e figli si avverte sempre il senso di un’oppressione autoritaria, di un influsso indesiderato, due occhi piantati sulla schiena di cui non ci si può liberare. Nel breve Un massacro, una ragazzata che nasce come imitazione dei padri – dunque come rito d’iniziazione – si riduce a un’inutile strage di tordelle, severamente punita dai padri stessi. Ma non va meglio al giovane aspirante poeta di Hotel Ginestra, ultimo racconto della raccolta: la sua fuga a Recanati, sulle orme ormai commercializzate del poeta, sono presto represse dal pragmatico padre, convinto che il figlio necessiti di attenzioni mediche. Poesia, pazzia, fanno lo stesso per il buon senso del padre e per i mondani partecipanti all’annuale convegno su Leopardi.
Il padre comanda: anche dopo la morte. Il racconto del titolo è il più asciutto e al tempo stesso il più desolante, con il defunto che continua la sua azione sui due figli, agenti della postuma vendetta del padre verso un compaesano, caricati del suo volere senza via di fuga. Chiamati dal sangue – comune, malgrado tutto – che corre dentro di loro.
Nonostante le premesse, una luce soffusa e quasi impercettibile, ma costante, accompagna la lettura dei racconti di Piersanti. Attraverso il ritratto impietoso, l’autopsia di sentimenti e correnti sotterranee dei personaggi, l’autore sembra esorcizzare lo scandalo di certe voci che s’odono nel libro; lo squallore di tali derive esistenziali, di tali fallimenti personali, ottengono giustificazione dall’atto del narrare. Lo scrittore, per usare un’immagine di Michele Mari, ha potuto maneggiare, tramite la parola, la massa incandescente dell’esistenza senza ustionarsi. Non è senza guadagno da parte del lettore avvicinarsi ed ammirare questa massa che va raffreddandosi.
Claudio Piersanti (1954); scrittore e sceneggiatore (con Carlo Mazzacurati). Tra i suoi libri Casa di nessuno (1981); L’amore degli adulti (1989, edizione ampliata 1998); Gli sguardi cattivi della gente (1992); Luisa e il silenzio (1997, premio Viareggio-Repaci, Vittorini-Siracusa e “diario della settimana”, Charles (2000) e L’appeso (2000).
A cura di Mario Bonaldi
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