La grande illusione
La grande illusione **********
di Stefania Di Mascolo
Backstage
Immagini di fuori-onda prima di un messaggio alla Nazione, di una conferenza stampa, di un’intervista: truccatrici e truccatori si affannano dietro ai capelli di Paul Wolfowitz, alle lentiggini di Condoleeza Rice e al “make up” di George W. Bush.
Atto I
Così inizia la farsa, la messinscena americana. Così iniziano le bugie raccontate 24 ore su 24 ai cittadini degli Stati Uniti (e del mondo) dai telegiornali e dai membri dell’entourage del Presidente. E così pure inizia Fahrenheit 9/11, mostrando proprio ciò che in tv non si vede, o meglio, che non ci fanno vedere: quello che realmente si cela dietro l’immagine di altruismo e umanità che questi potenti signori vogliono dare di se stessi.
Poi è tutto buio. Si sentono solo i due forti boati che ormai conosciamo tutti bene. E le urla. Quando le immagini riappaiono sullo schermo, su New York incombe un’enorme nube di fumo e piovono cenere e pezzi di carta.
Moore partendo dalle “bizzarre” elezioni del 2000, indaga sull’ascesa al potere di George W. Bush, sui suoi affari, sui suoi legami con i Sauditi e in particolare con la famiglia di Bin Laden. Non solo: Moore ci mostra i bambini americani (perché quello sono a 18 anni) che si arruolano per necessità, per mancanza di soldi, convinti comunque di andare a fare del bene, e le loro facce sbalordite quando non capiscono perché i civili bombardati li odiano. E mentre guardi il film speri con tutto il cuore che le parole di qualcuno di questi baby-soldati nascondano almeno una vaga consapevolezza di come stanno realmente le cose, ma no.
Atto II
E poi ci sono le immagini di guerra, di morte e distruzione di Baghdad. E mentre vediamo immagini di bambini morti e feriti, sentiamo le parole di un qualunque “stupido uomo bianco” che ad una conferenza stampa parla di precisione nei bombardamenti e dell’umanità e della cura che i soldati mettono nella loro missione.
E’ un’inchiesta lucida, pungente e dai risultati agghiaccianti quella che svolge Moore, che, utilizzando un linguaggio molto chiaro e spesso sarcastico, racconta allo spettatore ciò che nessuno mai si è premurato di fargli sapere: quali sono i reali obiettivi dell’amministrazione Bush, come i potenti hanno manipolato finora i cittadini americani, per quale causa stanno morendo realmente i loro figli e mariti e amici in Iraq.
Sipario
Si tolgono i microfoni Colin Powell, Dick Cheney e gli altri. Si rilassano. La messinscena è finita. Per favore: niente bis.
Curiosità
La giuria di Cannes ha eletto unanimemente miglior film il documentario di Moore, facendo sapere che è stato valutato prima di tutto in quanto opera cinematografica e non in base al contenuto politico.
Moore senza soluzioni *****
di Lorenzo Lipparini
Che la guerra sia brutta non ce lo deve dire certo Michael Moore.
Affidandosi al suo ultimo documentario il regista americano ha tra i suoi obiettivi quello di contribuire alla sconfitta di George W. Bush alle prossime, imminenti, elezioni americane ma l’intento potrebbe trasformarsi in un pericoloso bacio della morte.
Il film infatti non riesce a pungere e coinvolgere come Bowling for Columbine, nonostante i discutibili meriti artistici riconosciutigli a Cannes con la palma d’oro.
Se occupandosi del massacro degli studenti alla Columbine High School Moore era riuscito a costruire un’indagine ragionata e persino ironica ma sempre impeccabile sulla violenza della società americana, la spina dorsale di Fahrenheit 9/11 è meno definita, più disordinata, a volte latitante.
Il circo della politica americana si prepara davanti a cameraman e truccatori ad andare in onda con tutto il cinismo del suo teatrino quotidiano. Scorrono le immagini di repertorio della campagna elettorale di Bush, cui è dedicata tutta la prima parte del film. Ottimo materiale di archivio che da solo vale tutta l’opera e ci mostra un Presidente visibilmente in affanno, alle prese con dichiarazioni ufficiali spesso banalizzate con il ricorso a battute e barzellette, e un disagio che cresce nello spettatore che si inizia ad interrogare sulle reali capacità della propria classe dirigente.
L’undici settembre ci dà l’occasione per approfondire i legami tra il clan dei Bush e le gerarchie saudite, occuparci della famiglia Bin Laden, degli interessi economici coinvolti. I dieci minuti più imbarazzanti e significativi ci mostrano eloquenti il presidente Bush che, ricevuta la notizia dell’attacco terrorista, fissa il vuoto con lo sguardo perso senza nulla fare davanti ad una scolaresca di bambini. Impossibile dimenticare.
Poi inizia la guerra e l’attenzione si sposta. La seconda parte del film non è più un documentario di indagine e di accusa ma è trasformata in un’esibizione passiva e guardona del dolore dei familiari delle vittime delle parti coinvolte nel conflitto. Come a voler impressionare e scuotere l’osservatore a tutti i costi rinunciando a farlo ragionare scorrono le scene che infarciscono quotidianamente e sempre uguali un qualsiasi telegiornale di cronaca nera o di triste attualità. Persone che piangono disperate e invocano il proprio Dio, primi piani, imprecazioni e rassegnazione. Le immagini non possono lasciare indifferenti, ma cos’altro ci si poteva aspettare da una tragedia grande come la guerra? Alla fine ci si dimentica persino di Bush: sapeva o non sapeva ciò che si stava preparando contro l’America? I suoi interessi lo rendono complice o meno? Non solo la denuncia non si compie ma le accuse suggerite durante il film gettano una imbarazzante ombra su tutta la classe politica americana, altro che picconate contro i repubblicani. Non un solo parlamentare che abbia votato per la missione ha figli al fronte, non un solo senatore appoggia con la sua firma in parlamento le mozioni presentate dai comitati di cittadini.
C’è dunque una via d’uscita da tutto questo (spesso ragionevole) pessimismo? Forse Moore ha la soluzione. Ma non ce la dice.
Link correlati:
• La recensione del libro Stupid White Men di Michael Moore
• La recensione del film Bowling for Columbine di Michael Moore
• La recensione del film Roger & Me di Michael Moore
• L’articolo Micheal Moore in bianco e nero
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