Storie di ordinaria disarmonia
L’amore vissuto come situazione estrema, in cui la normalità non ha più nulla di tradizionale. La moglie dell’avvocato non è un film sconvolgente, come era stato presentato alla passata edizione del festival di Venezia, è in realtà il sintomo che qualcosa non funziona più nei meccanismi psicologici che generano i rapporti fra sessi nell’estremo oriente.
Sempre più spesso il cinema coreano tratta il sesso come un tema scabroso, scadendo nel morboso in taluni casi. Baram-Nan Gajok non è uno di questi, il nudo esibito non è fine a se stesso, non intende solleticare il senso della vista dello spettatore, anzi gli provoca una certa fascinazione intrisa di disgusto (esemplare la scena in cui la protagonista balla nuda in casa ascoltando un walkman).
E’ la difficoltà di esprimere i propri sentimenti che colpisce in questo film, tendenza che viene esasperata nel momento della morte del piccolo figlio adottivo, ucciso da un raptus di un postino con cui l’avvocato aveva avuto un incidente stradale. Difficilemente si ricorda al cinema un infanticidio così secco e duro, tale da lasciare impietrito anche il più insensibile della platea.
I caratteri dei personaggi sono così spigolosi, così definiti da non lasciare dubbi riguardo il loro modo di pensare. Difficilmente però è possibile penetrare nei loro animi e nelle sentimenti più profondo.
La moglie dell’avvocato può essere definito un noir dei sentimenti, in cui le atmosfere torbide fanno da cornice a rapporti umani raggelanti. Forse la libertà che gode oggi il cinema coreano dalla censura permette di esprimere ai registi attraverso storie fortemente metaforiche i sentori che il popolo prova nei confronti di uno Stato a lungo opprimente, in un tentativo di avvicinamento al pensiero occidentale attraverso temi e modalità narrative.
A cura di Carlo Prevosti
in sala ::