Il vampiro della porta accanto
Quando al cinema si parla di vampiri, ci si aspetta di trovarsi di fronte a personaggi terribili e crudeli, affascinanti e misteriosi, dotati di poteri sovrumani e in grado di trasformarsi in solitarie creature della notte. Ebbene, in questo film non si assiste a nessuna trasformazione mostruosa, non vi sono effetti speciali vistosi, e l’unico vampiro protagonista è tutto fuorché un essere sovrumano. Eppure, il film è di ottima fattura, ed assai convincente nella sua originalità; Jude Law, all’epoca non ancora superstar (il film è del 1998), dà vita a un personaggio enigmatico e riflessivo, travolto dai conflitti interiori e maniacale nella sua meticolosità. Il suo vampiro è perciò molto più umano di tutti gli altri personaggi, e dimostra di poter comprendere, e spiegare, gli impulsi più strani della natura umana. Egli non sembra appartenere a un’altra specie, ma pare piuttosto ultraumano, dotato di grande lucidità e di intelligenza, nonché raffinato artista; proprio per questa sua superiorità, egli non si nutre del sangue nella sua fisicità, ma dell’emozione contenuta in esso (indicativo il discorso sui cristalli tra Steven e Anne).
Il vampiro è perciò, secondo tradizione, costretto a uccidere per la propria sopravvivenza, ma in questo caso vi sono notevoli differenze: infatti, se gli altri vampiri sceglievano prede umane per questioni di “gusto” (come si dice in Intervista col Vampiro – Interview with the Vampire, Neil Jordan, 1994) o di crudeltà, qui il protagonista non ha scelta, poiché solo gli esseri umani possono fornirgli quelle emozioni di cui ha bisogno. Il dramma maggiore è perciò quello di dover “assaggiare” le sensazioni, provate dalle sue vittime in punto di morte, per poter sopravvivere; tutto questo finché non troverà l’emozione perfetta, cioè l’amore, provata da qualcuno disposto a farsi uccidere per la sua sopravvivenza.
Questa storia si svolge all’interno di una vicenda più grande, ovvero le indagini della polizia su Steven (Law), sospettato e colpevole dell’omicidio di una sua ex fidanzata; l’atmosfera generale è perciò quella di un thriller psicologico, caratterizzato dagli strani rapporti tra il protagonista e un ispettore di polizia (molto interessante il discorso a proposito della dualità della natura umana).
Il film è molto parlato, focalizzato sull’importanza narrativa dei dialoghi, mai banali o scontati, e stenta solamente nella parte centrale, in cui si può accusare la ripetitività di alcune scene. Rimane però una pellicola originale e interessante, considerando anche il panorama estivo, ed è un peccato che in Italia sia arrivata con addirittura sei anni di ritardo dalla sua uscita.
A cura di Enrico Bocedi
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